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Giovedì, 04 Lug 2024

di Adriana Spera

Il 17 dicembre scorso, l’ottava sezione Corte di giustizia dell’Unione Europea (Pres. Fernlund, Rel. Caoimh) ha depositato l’ordinanza relativa alla causa C-50/13, avente ad oggetto l’esame della legislazione italiana volta a prevenire gli abusi derivanti dall’utilizzo di una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato nella pubblica amministrazione.

L’intervento della Corte era stata sollecitato dal Tribunale di Aosta, al fine di verificare la conformità della predetta legislazione alla direttiva Ue 1999/70, attuativa dell’accordo quadro  concluso con le organizzazioni intercategoriali a carattere generale.

Obiettivo dell’accordo quadro è, da un lato, quello  di migliorare la qualità del lavoro a tempo determinato, garantendo il rispetto del principio di non discriminazione e, dall’altro, di creare un quadro normativo per la prevenzione degli abusi derivanti dall’utilizzo di una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato.

La clausola 5 dell’accordo stabilisce che per prevenire gli abusi derivanti dall’utilizzo di una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato, gli Stati membri, previa consultazione delle parti sociali a norma delle leggi, dei contratti collettivi e delle prassi nazionali, e/o le parti sociali stesse, dovranno introdurre, in assenza di norme equivalenti per la prevenzione degli abusi e in un modo che tenga conto delle esigenze di settori e/o categorie specifici di lavoratori, una o più misure relative a ragioni obiettive per la giustificazione del rinnovo dei suddetti contratti o rapporti.

In particolare, occorre prestabilire la durata massima totale dei contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato successivi e il numero dei rinnovi dei medesimi contratti o rapporti. Gli Stati membri, previa consultazione delle parti sociali, devono, altresì, stabilire a quali condizioni i contratti e i rapporti di lavoro a tempo determinato devono essere considerati “successivi” o essere ritenuti a tempo indeterminato.

La normativa italiana in materia per la pubblica amministrazione è contenuta nell’art. 35 del decreto legislativo n. 165 del 2001e successive modifiche e integrazioni. Ed è proprio su tale norma che si è soffermata la Corte di Lussemburgo, concludendo che tale normativa viola lo spirito e il dettato della citata direttiva del 1999.

Per i giudici Ue, infatti, la legislazione italiana, secondo l’interpretazione elaborata dalla Corte suprema di cassazione, nell’ipotesi di utilizzo abusivo da parte di un datore di lavoro pubblico di una successione di contratti di lavoro a tempo determinato, riconosce soltanto il diritto di ottenere il risarcimento del danno, a condizione che il lavoratore fornisca la prova di aver dovuto rinunciare a migliori opportunità di impiego.

Di fatto – scrivono i giudici nell’ordinanza –  la prova richiesta dallo Stato italiano può rivelarsi difficilissima, se non quasi impossibile da produrre da parte di un lavoratore, per cui non si può escludere che questa prescrizione sia tale da rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio, da parte del medesimo lavoratore, dei diritti attribuitigli dall’ordinamento dell’Unione e, segnatamente, del suo diritto al risarcimento del danno sofferto, a causa dell’utilizzo abusivo, da parte del suo ex datore di lavoro pubblico, di una successione di contratti di lavoro a tempo determinato.

Spetta, comunque, al giudice nazionale – conclude la Corte – procedere alle verifiche del caso e stabilire se il diritto nazionale sia o meno conforme alla direttiva Ue, tenendo ben presente, però, che : “L’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, concluso il 18 marzo 1999, che figura in allegato alla direttiva 1999/70/CE del Consiglio, del 28 giugno 1999, relativa all’accordo quadro Ces, Unice e Ceep sul lavoro a tempo determinato, deve essere interpretato nel senso che esso osta ai provvedimenti previsti da una normativa nazionale, quale quella oggetto del procedimento principale, la quale, nell’ipotesi di utilizzo abusivo, da parte di un datore di lavoro pubblico, di una successione di contratti di lavoro a tempo determinato, preveda soltanto il diritto, per il lavoratore interessato, di ottenere il risarcimento del danno che egli reputi di aver sofferto a causa di ciò, restando esclusa qualsiasi trasformazione del rapporto di lavoro a tempo determinato in un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, quando il diritto a detto risarcimento è subordinato all’obbligo, gravante su detto lavoratore, di fornire la prova di aver dovuto rinunciare a migliori opportunità di impiego, se detto obbligo ha come effetto di rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio, da parte del citato lavoratore, dei diritti conferiti dall’ordinamento dell’Unione”.

Questa l’importante decisione della Corte di giustizia, che è stata giudicata dai legali dell’Anief, che hanno partecipato alla discussione dinanzi alla medesima Corte, come una possibile apertura verso una stabilizzazione di massa.

La decisione della Corte Europea – ha dichiarato l’avv. Vincenzo de Michele - prende atto della ormai certificata incapacità del legislatore nazionale di regolamentare la disciplina delle tutele contro i ripetuti abusi commessi dallo Stato e dalle imprese pubbliche statali sui contratti flessibili anche con norme retroattive. L’ordinanza – ha concluso il legale - rende sicuramente effettiva la riqualificazione in contratti a tempo indeterminato di tutti i rapporti a termine successivi con lo stesso datore di lavoro pubblico dopo trentasei mesi anche non continuativi di servizio precario, come previsto dall’art.5, comma 4-bis, dello stesso decreto 368. Una espressione inequivocabile che dovrà essere applicata immediatamente in particolare nei settori della scuola, della sanità e della ricerca, disapplicando le norme che impediscono la tutela effettiva.

Di diverso avviso Gianpiero D’Alìa, ministro della pubblica amministrazione e della semplificazione, per il quale la decisone della Corte europea non è una novità “visto che nel frattempo il governo è già intervenuto con il decreto 101, convertito in legge, che ha come obiettivo il superamento definitivo del fenomeno del precariato”.

Peccato, però, che non di obiettivo si tratti ma di miraggio, come abbiamo avuto modo di scrivere nei nostri articoli del 3 settembre, del 5 novembre e del 10 dicembre dello scorso anno, quando abbiamo commentato il contenuto del “miracolistico” decreto 101.

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