Di ricette-palliativo ne stanno provando tante, ma proprio tante per ridare una boccata di ossigeno alla disastrata economia italiana e per cercare una assai improbabile ripresa dei consumi.
L’ultima trovata del governo Renzi, che dovrebbe concretizzarsi con il varo della legge di stabilità, riguarderà con ogni probabilità il Tfr maturando che, per un periodo di tre anni, verrebbe inglobato in misura pari al 50%, in busta paga, con cadenza annuale. L’altro 50% resterebbe nella disponibilità del datore di lavoro.
Il provvedimento, però, appare destinato a scatenare polemiche. Innanzitutto non riguarderebbe i lavoratori del pubblico impiego ma soltanto quelli del privato che, però, avrebbero l’amara sorpresa di vedersi applicare sulla quota di Tfr inserita in busta paga un’aliquota fiscale marginale che potrebbe arrivare fino al 43%, mentre al trattamento di fine rapporto erogato una tantum, come noto, viene riservato un meccanismo fiscale agevolato.
Ma a reagire negativamente alla possibile iniziativa governativa sono stati anche i datori di lavoro con meno di 50 dipendenti che, a differenza di quelli con un numero maggiore di dipendenti, trattengono integralmente nelle loro casse il Tfr dei lavoratori, che così rappresenta per l’azienda una fonte di finanziamento a costo zero.
L’esclusione dei lavoratori pubblici dal possibile provvedimento governativo rappresenterebbe una ulteriore “mazzata” per una categoria che non solo vede bloccato il contratto da cinque anni ma che, proprio in materia di trattamento di fine servizio (Tfs) o buonuscita, subisce una legislazione decisamente penalizzante.
Infatti, mentre per il privato il Tfr viene erogato in un’unica soluzione, il Tfs viene corrisposto per intero se non supera i 50 mila euro lordi; in due annualità, se è compreso tra i 50 e i 100 mila e, addirittura, in tre, per importi superiori.
Sarebbe già un importante passo in avanti, con qualche indubbio beneficio anche per i consumi, se il governo reintroducesse la norma che anche per il Tfs prevedeva la erogazione in un’unica rata.
Un provvedimento equo, semplice e di sicuro impatto sull’economia.
Ma, forse, proprio questo è il problema.