Secondo i dati della Ragioneria Generale dello Stato messi a disposizione dall'Aran, gli enti pubblici di ricerca nel 2014 potevano contare su 24.870 occupati, di cui più di 4 mila a tempo determinato (16%).
Tra i 20.810 lavoratori in pianta stabile, si contano circa 250 tra dirigenti amministrativi e direttori, mentre il restante personale è equamente distribuito tra ricercatori e tecnologi (10.457) e personale tecnico-amministrativo (10.104).
Nel 2013, la retribuzione annua dei dirigenti sfiorava i 100 mila euro (151.176 per la I fascia e 95.334 per la II fascia), mentre il personale non dirigente poteva contare mediamente su 40 mila euro lorde l'anno (46.414 per ricercatori e tecnologi e 34.661 per il personale tecnico-amministrativo).
I dati analizzano anche, con riferimento al 2014, i flussi di mobilità. Se la mobilità nella pubblica amministrazione è assai ridotta (1,31% in entrata e 1,62% in uscita), tra gli enti pubblici di ricerca possiamo parlare di vera e propria paralisi.
La mobilità in entrata ha riguardato solo 89 persone (0,43%), di cui 11 provenienti da un altro ente di ricerca, 9 da un altro comparto e 69 in comando o distacco. Quella in uscita ha interessato, invece 212 lavoratori (1,035), di cui 17 sono finiti in un altro ente di ricerca, 8 in altro comparto e 187 in comando o distacco.
Tra le cause della rigidità dei trasferimenti da e verso altri comparti va annoverato anche il particolare inquadramento degli enti di ricerca, che rende difficile, e spesso penalizzante, l'equiparazione giuridica ed economica.
Poche giustificazioni, invece, se non la miopia di chi li governa, per l'assenza di scambi di personale e di esperienze professionali tra enti di ricerca, ma anche all'interno degli stessi.