Dopo aver trattato della mobilità degli studenti, intendiamo qui esaminare il profilo del personale docente delle nostre università, secondo quanto emerge da un altro studio, curato da Laura Azzolina e Emmanuele Pavolini, sempre contenuto nel volume della Fondazione Res, pubblicato da Donzelli, intitolato ”Università in declino. Un’indagine sugli atenei da Nord a Sud”, a cura di Gianfranco Viesti.
Sul presupposto che il capitale umano sia fondamentale per il raggiungimento delle finalità dell’istituzione universitaria, la ricerca si è posta due obiettivi: da un lato, descrivere le caratteristiche del personale docente, distinguendo per macro-aree territoriali e tracciandone un quadro in ottica diacronica, così da verificarne il cambiamento e la sua direzione; dall’altro, analizzare gli effetti che possono derivare dall’uso di criteri di valutazione della ricerca che si vanno imponendo nell’accademia italiana, l’introduzione delle nuove forme di valutazione, incentivata dal Miur e soprattutto dall’Anvur, che è da ritenersi uno dei processi di trasformazione più rilevanti dei nostri atenei.
Dalla ricerca è emerso che - a prescindere dai processi che stanno cambiando l’organizzazione dell’università, i compiti e le mansioni dei docenti, oltre che i criteri di valutazione delle loro attività - negli ultimi quindici anni ad essere cambiate sono le caratteristiche strutturali del corpo docente e queste sono destinate a incidere notevolmente sul loro modo di operare e sulla natura e qualità del servizio offerto.
L’anno della svolta è stato, in particolare, il 2008, stante che a partire da quella data il sistema si è ridisegnato in peggio. A determinare tale stato di cose, nello specifico, è stata la concomitanza di una serie di eventi, tutti di segno negativo: dalla riduzione dei docenti (che ha peggiorato il rapporto con gli studenti) al loro invecchiamento, dalla riduzione dei dottorati alla crescita del numero dei collaboratori e alla loro precarizzazione, fino alla diminuzione del personale tecnico-amministrativo.
Quel che risalta con evidenza, però, è che queste trasformazioni si sono prodotte con intensità differente nelle diverse aree del paese, dando vita a un divario più complesso di quello tradizionale fra Nord e Sud. Si sta così, innanzitutto, configurando una linea di demarcazione che passa fra Nord e Centro-sud, piuttosto che fra Settentrione e Mezzogiorno; in secondo luogo, sulla base dell’analisi dell’Abilitazione scientifica nazionale (Asn), si è verificato che “aree disciplinari differenti hanno seguito traiettorie diverse”. Sicché, in termini di partecipazione e di successo, in alcuni casi la distanza nei risultati dell’Asn stessa è particolarmente ampia fra Nord e Centro-sud, in altri è più contenuta. In terzo luogo, vi è un problema di risorse che nel Centro-sud, in particolare nel Mezzogiorno, che tende a diventare strutturale, quindi problematico.
Qui non solo i docenti sono più invecchiati, ma essi hanno prospettive più ridotte di scatti di carriera, con tutto ciò che ne consegue nel rapporto numerico studenti/docenti, ancorché il numero degli iscritti al Sud sia diminuito. Né si intravvede a breve termine la possibilità di un ricambio, essendo diminuito il numero dei posti di dottorato e dei dottori di ricerca.
Come se non bastasse, il confronto territoriale ha evidenziato, altresì, un elemento di ulteriore debolezza dei docenti del Centro-sud rispetto a quelli del Nord quanto ai profili di internazionalizzazione e pubblicazione in contesti selettivi e competitivi, che sono ormai diventati parametri di valutazione la cui importanza è andata via via crescendo.
Si tratta di un quadro che parla da solo, senza bisogno di commenti.