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Mercoledì, 03 Lug 2024

I recenti chilometrici provvedimenti di Governo e Parlamento non finiscono mai di riservare sorprese per docenti e ricercatori universitari.

Dopo quella della risibile una tantum per cercare di dare un piccolo contentino, a seguito del blocco degli scatti stipendiali protrattosi dal 2011 al 2015, è ora la volta del micro bonus di 3 mila euro lordi, di cui abbiamo avuto già modo di occuparci il 6 aprile e il 5 ottobre dello scorso anno.

Come molti ricorderanno, con l’art. 1, comma 295 e segg., della legge di stabilità per l’anno 2017 (legge 11 dicembre 2016, n.232), il Governo Renzi aveva istituito un Fondo per il finanziamento delle attività base di ricerca, con uno stanziamento di 45 milioni di euro annui a decorrere dall’anno 2017.

I successivi commi prevedevano che: il Fondo di cui al comma 295 era destinato al finanziamento annuale delle attività base di ricerca dei ricercatori e dei professori di seconda fascia (esclusi, chissà perché, quelli di prima) in servizio nelle università statali; l’importo individuale del finanziamento annuale sarebbe stato pari a 3.000 euro, per un totale di 15.000 finanziamenti individuali, di cui avrebbe potuto beneficiare il 75 per cento dei ricercatori e il 25 per cento dei professori di seconda fascia, in servizio a tempo pieno, con contratto sia a tempo determinato che indeterminato. Il tutto, a seguito di un apposito bando, la cui emanazione veniva demandata all’Anvur.

Il provvedimento veniva presentato, con enfasi, come esempio di Buona Università e come l’inizio di una diversa politica di finanziamento della attività base di ricerca, i cui fondi in futuro sarebbero stati sicuramente incrementati, sia per aumentare la platea dei beneficiari che per rendere più consistente l’ammontare del bonus.

A distanza di qualche mese, però, Parlamento e Governo - alla cui guida, dopo la débâcle referendaria, era giunto nel frattempo Gentiloni, con il beneplacito dello stesso Renzi - “infilavano” nella manovra correttiva di bilancio, varata con decreto legge n. 50/2017 del 24 aprile 2017 (convertito in Legge n. 96 del 21 giugno 2017), l’art. 22-bis, il cui comma 6 testualmente recita:

“Alla legge 11 dicembre 2016, n. 232, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) al comma 295, le parole: "45 milioni di euro annui a decorrere dall’anno 2017" sono sostituite dalle seguenti: "45 milioni di euro per ciascuno degli anni 2017 e 2018, di 31,87 milioni di euro per l’anno 2019 e di 30,54 milioni di euro annui a decorrere dall’anno 2020";

b) al comma 298, dopo le parole: "finanziamenti individuali" sono inserite le seguenti: "nel 2017 e nel 2018. A decorrere dal 2019 il numero dei finanziamenti individuali è determinato in proporzione all’importo complessivamente disponibile di cui al comma 295, fermo restando l’importo individuale di 3.000 euro".

In pratica, dal 2019, l’importo del tanto decantato Fondo pro-ricerca di base, anziché essere incrementato, avrebbe subito un taglio del 30%.

Ma non è finita qui.

Dopo che abbiamo cercato di districarci, non senza difficoltà, tra i 1.181 commi di cui si compone l’art. 1 della legge di stabilità 2018, n. 205 del dicembre 2017, oltre ad aver rinvenuto nel comma 629, lo stratosferico “risarcimento” per il blocco degli scatti stipendiali per il quinquennio 2011-2015, un pochino più avanti e, segnatamente nel comma dal 641, ci siamo imbattuti nella seguente disposizione:

“All'articolo 1 della legge 11 dicembre 2016, n.232, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) al comma 295, le parole: «45 milioni di euro per ciascuno degli anni 2017 e 2018, di 31,87 milioni di euro per l'anno 2019 e di 30,54 milioni di euro a decorrere dall'anno 2020» sono sostituite dalle seguenti: «45 milioni di euro per l'anno 2017, di 30 milioni di euro per l'anno 2018, di 18 milioni di euro per l'anno 2019 e di 18 milioni di euro a decorrere dall'anno 2020".

Ma, come se non bastasse, lo stanziamento di 30 milioni per l’anno 2018 ha subito due ulteriori decurtazioni, per complessivi 25 milioni: la prima, di 10 milioni (comma 637), per incrementare il Fondo integrativo statale per la concessione di borse di studio e la seconda, di 15 milioni (commi 639 e 640), per incrementare le Borse concesse per la frequenza ai corsi di dottorato di ricerca.

In conclusione, il Fondo per il finanziamento delle attività base di ricerca, inizialmente fissato in 45 milioni, che avrebbe dovuto assicurare 15 mila finanziamenti individuali, pari al 37 per cento degli aspiranti (che sono circa 40 mila), da quest’anno, dopo i ripetuti tagli sopra descritti, sarà di appena 5 milioni, sufficiente a coprire circa 1650 erogazioni, meno del 5 per cento dei potenziali candidati.

Che dire!?! Di fronte a vicende di questo genere (un noto giurista avrebbe parlato di “albe apparenti e scomparenti”) si resta, più che perplessi, sgomenti. E’ come se la mano destra non sapesse quel che fa la sinistra. Con l’aggravante che, come detto sopra, il provvedimento era stato sbandierato ai quattro venti come una novità epocale. Doveva essere, infatti, l’inizio di una diversa politica di finanziamento delle attività di base della ricerca. Si è taciuto, però, che è stato anche la fine, rectius quasi la fine, visto che, a conti fatti, ne beneficerà soltanto una porzione risibile degli iniziali aspiranti.

Una cosa è certa: se ai docenti il “recupero” degli scatti stipendiali ha fruttato un misero caffè, stavolta il governo non ha passato neanche lo zuccherino.

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