di Roberto Tomei
C'è dunque un disegno di legge (c.d. Frasinetti), che giace ora alla Camera, col quale si intende rilanciare la lingua italiana. Non è il primo tentativo,
visto che già nel 2001 un altro parlamentare (Pastore) aveva provato ad agire nella stessa direzione, ma senza successo.
L'attuale d.d.l.,che recepisce le indicazioni provenienti da autorevoli esponenti del mondo accademico, poggia su due punti di forza: da un lato, l'istituzione del Consiglio superiore della lingua italiana (CSLI), cui è affidata la sorveglianza sullo stato di salute della stessa; dall'altro, una serie di comitati scientifici, chiamati a informare e formare la coscienza linguistica del popolo, in particolare degli "utenti influenti" ossia insegnanti, addetti alla comunicazione pubblica e traduttori (chiamati, quest'ultimi, a non tradire il nostro idioma).
Ma c'è da chiedersi se una legge "salva idioma" basti a tutelare l'italiano, che Monti definiva "l'unico tratto di fisionomia che ci conservi l'aspetto di una ancora viva e sana famiglia". Questo "unico legame di unione che l'impeto dei secoli e della fortuna… non hanno ancora potuto disciogliere"(sempre Monti) subisce oggi l'attacco congiunto del vento della globalizzazione e della rinascita dei localismi.
Nemmeno i padri costituenti, di cui da molti anni e da più parti si riconosce la lungimiranza, ebbero la consapevolezza che l'italiano fosse, come il patrimonio storico-artistico, un bene da preservare e, infatti, nella Carta fondamentale, della lingua non si parla mai. L'italiano ha continuato così ad essere la lingua "ufficiosa" del nostro Paese.
Mentre anche fuori dei nostri confini (persino da parte dei francesi) si prendeva atto dell'importanza storica della nostra lingua per l'edificazione dell'Europa, a partire dal Rinascimento, da un lato, essa veniva esclusa dalle lingue ufficiali dell'Unione europea (i documenti sono redatti in inglese, francese e tedesco), dall'altro ci si agitava per ridimensionarne l'importanza a beneficio dei dialetti. Una battaglia, quest'ultima, tanto palesemente assurda nei suoi presupposti quanto disgraziatamente fortunata nei suoi esiti.
Anziché tutelare l'italiano si è così provveduto a difendere e valorizzare i dialetti, dimenticando che questi: a) hanno perso la loro originale purezza, essendosi contaminati con l'italiano; b) non si possono insegnare e parlare perché non c'è corrispondenza tra dialetti e singole regioni; c) il loro insegnamento, anche a considerarne l'effettiva praticabilità, avrebbe costi piuttosto alti. Senza tenere minimamente conto di tali "controindicazioni", pochi anni fa è stata approvata la legge n. 482 del 1999, che ha riconosciuto anche al sardo e al friulano (alla stregua del ladino e del sud-tirolese) lo status di lingue minoritarie, ancorché si trattasse di idiomi non parlati fuori del territorio nazionale.
Finalmente, c'è un segnale di reazione: nel 2008 lo Stato ha impugnato davanti alla Corte costituzionale una legge friulana, che, oltre a contrastare con diversi principi costituzionali, sembra introdurre un regime di sostanziale bilinguismo e, per certi aspetti,di esclusività della lingua friulana. Delle conseguenze della globalizzazione sulla lingua italiana diremo nella prossima puntata.
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