Maria Skłodowska (1867-1934), a partire dalla morte del marito, si firmò con il nome di lui, “Pierre”, preceduto dal sostantivo “Madame”: Madame Pierre Curie.
Nessuna legge la obbligava a farlo e quella scelta mi colpisce molto perché proveniva da una scienziata dalla personalità forte e decisa.
Maria aveva sposato Pierre Curie nel 1895 e da allora aveva cambiato il nome e il cognome in “Marie Curie”. La coppia ebbe due figlie, vinse un Nobel e lavorò insieme finché lui morì, nel 1906.
Marie rifiutò la pensione di stato, ma accettò dalla Sorbona la cattedra di “fisica generale”, già appartenuta al marito, e cominciò a considerarsi a tutti gli effetti la sua sostituta.
La sua tesi dal titolo “Recherches sur les substances radioactives”, con la quale ottenne il dottorato in “scienze fisiche” nel 1903, era firmata con il suo nome, “M. me Skodowska Curie”.
La pubblicazione “La Radiologie et La Guerre” pubblicata nel 1921, quando era vedova da cinque anni, è invece firmata “M. me Pierre Curie. Professeur à la Sorbonne”.
Nel passato, molto spesso le studiose dovevano firmare con uno pseudonimo maschile o con il nome dei mariti per essere prese in considerazione, ma non mi sembra il caso di Maria Sklodowska, che aveva ottenuto da sola il secondo Nobel, in chimica, e una fama scientifica mondiale.
Cosa ci dicono le firme della scienziata? Che continuò a portare avanti il nome del marito nelle sue opere, perché non fosse dimenticato.
Il suo biglietto da visita era intestato “Madame P. Curie”, a dimostrazione che l’attività della coppia era legata inestricabilmente, non meno della vita familiare.
L’indirizzo: “11, Rue Pierre Curie, Paris 1”, è quello dell’ “Institute du radium”, il laboratorio dove la scienziata lavorava, intitolato al marito.
Per approfondire: “Scienziate nel tempo. Più di 100 biografie", Ledizioni, Milano 2023.
Sara Sesti
Matematica, ricercatrice in storia della scienza
Collabora con l'Università delle donne di Milano
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