Oggi è il "Giorno del Ricordo", istituito con la legge 92/2004 per "conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell'esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale".
La data del 10 febbraio coincide con la firma, nel 1947, del "Trattato di Parigi" che assegnava alla ex Jugoslavia l’Istria, il Quarnaro, Zara e la sua provincia, nonché la gran parte della Venezia Giulia.
In Italia si tende a rimuovere le pagine storiche che fanno vacillare il falso mito degli italiani brava gente, per esempio, si è portati a rimuovere gli eccidi compiuti dal colonialismo italiano.
Ci ricordano gli studi di eminenti storici, come Angelo Del Boca, che in Libia e nel Corno d’Africa gli italiani non si risparmiarono a ferocia. Ad esempio, durante l’occupazione della Libia (1911-1932), l’Italia istituì campi di concentramento che causarono la morte, in gran parte per fame, di oltre 100.000 libici. In Etiopia, vennero impiegate armi chimiche come l’iprite e si susseguirono innumerevoli episodi di massacri indiscriminati.
Ma la violenza coloniale non si limitò all’Africa. Nei Balcani, tra il 1941 e il 1943, l’Italia fascista portò avanti vere e proprie operazioni di “bonifica etnica”.
Nell’aprile del 1941, le forze aderenti al "Patto d’Acciaio" invasero la Jugoslavia, il Regno d’Italia si annesse la parte meridionale della Slovenia, tra cui la provincia di Lubiana. Fu l’inizio di una delle occupazioni più violente della Seconda Guerra Mondiale, in cui l’Italia tentò di trasformare la Slovenia in un territorio completamente italianizzato, eliminando o assimilando la popolazione slovena. L’amministrazione fascista considerava gli sloveni e i croati popoli inferiori e d’ostacolo alla costruzione di un’Italia imperiale nei Balcani, perciò nei loro confronti attuò una politica di sterminio e assimilazione forzata. Il regime di Mussolini mirava non solo a controllare politicamente il territorio, ma anche a eliminare ogni traccia di cultura, identità e resistenza slovena, insomma un’italianizzazione forzata degli sloveni eliminando la loro lingua e cultura. Questo obiettivo si tradusse in una strategia di repressione sistematica e di pulizia etnica su larga scala.
Il generale, ed agente dei servizi segreti, Mario Roatta, comandante della II Armata, per ordine di Mussolini, pianificò la deportazione di 35.000 sloveni della provincia di Lubiana (10% della popolazione).
In molte località, la popolazione civile fu radunata e deportata senza preavviso, con famiglie intere separate e destinate a campi di concentramento come quelli di Arbe (Foto in alto) dove morirono di fame, freddo e malattie oltre 1.500 prigionieri; Gonars ricordato per le torture ai detenuti; Chiesanuova e Visco (Foto grande). Luoghi di annientamento per fame, malattie, sadismo e brutalità delle guardie. Raccontano i sopravvissuti che i prigionieri ricevevano un’alimentazione di nemmeno 300 calorie giornaliere. Molti bambini morirono di inedia. Esecuzioni sommarie e torture erano all’ordine del giorno.
D'altronde, l’obiettivo era sostituire la popolazione locale con coloni italiani.
Il progetto prevedeva non solo lo sgombero di intere regioni, ma, come già detto, la italianizzazione forzata di chi restava e quindi: cancellazione di lingua e cultura locale; distruzione di villaggi ritenuti focolai di resistenza (ne vennero rasi al suolo oltre 800); esecuzioni sommarie di civili sospettati di collaborare con i partigiani (ne vennero uccisi a migliaia); rappresaglie sui civili se un soldato italiano veniva ucciso dai partigiani; nei numerosi centri di detenzione a Lubiana, Trieste e in altre città, gli sloveni venivano arrestati e sottoposti a tortura nei sotterranei da parte della polizia segreta fascista.
L’ordine di Roatta era chiaro: «Dobbiamo creare il terrore, arrestando e fucilando chiunque sia sospetto”. Il suo motto era «Non occhio per occhio e dente per dente! Piuttosto una testa per ogni dente».
Le modalità di sterminio furono le stesse già impiegate in Africa.
Ma non basta, visto che uno degli obiettivi chiave dell’occupazione italiana era la completa italianizzazione: fu vietato l’insegnamento dello sloveno nelle scuole e il suo uso negli uffici pubblici e nelle chiese; soppressi i giornali sloveni, sostituiti con pubblicazioni fasciste in italiano; nomi e cognomi sloveni furono forzatamente italianizzati, come era già avvenuto in Alto Adige e in Istria negli anni ’20; biblioteche, scuole e archivi sloveni furono distrutti per cancellare ogni traccia dell’identità nazionale.
Insomma, la Slovenia doveva diventare una provincia italiana, e per riuscirci occorreva annientare ogni resistenza culturale.
Tutte misure che alimentarono la rabbia della popolazione e rafforzarono la lotta partigiana, un po' quel che accaduto in Ucraina alle popolazioni russofone e in Palestina con le occupazioni da parte dei coloni israeliani.
Come spesso accade in Italia la “bonifica etnica” degli sloveni è stata rimossa dalla memoria collettiva degli italiani, eppure è stata una pulizia etnica in tutto uguale a quella attuata dai nazisti nell’Europa orientale.
I colpevoli non sono mai stati né estradati in Jugoslavia né processati in Italia. Il generale Roatta, nonostante le richieste della ex Jugoslavia, non fu mai estradato; per la sua implicazione nell’omicidio dei fratelli Rosselli fu assolto; ritenuto colpevole di esser fuggito invece di difendere Roma dall’invasione nazista poté usufruire dell’amnistia di Togliatti e morire nel 1968 in Spagna, dove si era rifugiato fin dal 1945, protetto dal Caudillo Franco.
Ciononostante, fin dal 1995, per tre legislature consecutive, vennero presentate da Alleanza Nazionale (AN) alcune proposte di legge, tutte respinte, per istituire il "Giorno del Ricordo" delle Foibe e conferire riconoscimenti ai parenti delle vittime, senza distinguere se esse fossero realmente tali o persone che si fossero rese complici o colpevoli delle violenze compiute dagli occupanti italiani. Mentre, a priori, venivano esclusi gli italiani arruolatisi tra i partigiani titini e poi infoibati in quanto italiani. Soltanto nel 2004 si arrivò alla legge 92, frutto di un compromesso tra maggioranza e opposizione, cui votarono contro solo i Comunisti italiani (PdCI) e Rifondazione Comunista (PRC).
Nel 2000, venne presentata anche una proposta da parte del deputato dei DS Di Bisceglie che, però, mirava ad escludere da eventuali decorazioni tutti coloro i quali avessero combattuto al servizio dei tedeschi. La finalità del provvedimento era quella di perpetuare «il ricordo degli italiani inermi caduti vittime di violenza per le loro idee politiche e per il loro sentimento nazionale». Contrari al provvedimento si dichiararono i partiti comunisti che vi rintracciavano “l'intento di riabilitare i fascisti e i repubblichini e di criminalizzare indistintamente i partigiani e la Resistenza, abusando della logica della pietà e anteponendola alla logica della storia". Approvata alla Camera, la proposta di legge venne respinta l'ultimo giorno della legislatura dalla Commissione Affari Costituzionali in sede deliberante, col voto contrario di Rifondazione Comunista, che si sommò alle astensioni (che al Senato valgono come voto contrario) dei Democratici di Sinistra e del Partito Popolare Italiano.
Nel 2003, venne presentata, sempre da AN e dal resto delle formazioni di destra, una proposta di legge che, però, non prevedeva la consegna di un riconoscimento ai congiunti degli infoibati, ma si proponeva l'istituzione - in coincidenza con la data (10 febbraio) della la firma del Trattato di Parigi del 1947 - di un "Giorno della memoria e della testimonianza" per ricordare la storia e la presenza italiana in Istria, a Fiume e in Dalmazia, nonché "la tragedia delle migliaia di italiani nelle foibe istriane" e "[l']esodo di 350 mila istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra".
Il 10 febbraio 2004, il senatore della Margherita Willer Bordon presentò un disegno di legge analogo, che intendeva "contribuire a recuperare alla memoria nazionale ed europea le dolorose e drammatiche vicende dell'esodo di istriani, fiumani e dalmati a seguito della vittoria militare della Jugoslavia di Tito, che, oltre i caratteri di reazione post bellica, assunse anche i caratteri di una vera pulizia etnica". Bordon propose di istituire ogni 10 febbraio una "Giornata della memoria al fine di conservare e tramandare la memoria delle sofferenze degli esuli istriano-dalmati". I due testi vennero unificati e profondamente modificati e il nuovo testo fu intitolato "Istituzione del 'Giorno del ricordo', in memoria delle vittime delle foibe dell'esodo giuliano-dalmata, delle vicende del confine orientale e concessione di un riconoscimento ai congiunti degli infoibati", riproponendo quindi anche il conferimento del riconoscimento.
Il successivo dibattito vide, ancora una volta, il deputato di AN Menia arroccato sulla necessità di conferire il riconoscimento ai parenti senza sindacare sulle storie dei singoli infoibati, accusando chi aveva posizioni contrarie di negazionismo e giustificazionismo, e i deputati dei DS e della Margherita, con posizioni all’insegna della pacificazione e del revisionismo storico, seppur fermi nel negare facili conferimenti di onorificenze.
Ma alla fine un compromesso, che gioca tutto sulla rivalità tra opposti nazionalismi senza una parola sull’occupazione fascista, fu trovato; un passo dei tanti compiuti dal cosiddetto centrosinistra che hanno prodotto lo sdoganamento dei fascisti fino a riportarli al governo, seppur denominati postfascisti.
Per Rifondazione, che votò contro, “i colleghi del centrosinistra, che per questa via non ricostruiscono una verità, non aprono una luce sulla vicenda storica, ma si prestano ad un'altra operazione politico-culturale. Noi a questa operazione non solo non ci vogliamo prestare, ma la combattiamo apertamente ed esplicitamente. Non si può dedicare una giornata della memoria, al pari del 25 aprile e di quella dell'Olocausto, in quanto stiamo parlando di fenomeni che non sono assolutamente equivalenti e la proposta di renderli equivalenti in realtà allude ad un processo di revisionismo storico che cambia la natura dello Stato e della Costituzione antifascista".
Il riconoscimento può essere concesso anche ai congiunti dei cittadini italiani che persero la vita dopo il 10 febbraio 1947, ed entro l'anno 1959, qualora la morte fosse sopravvenuta in conseguenza di torture, deportazione e prigionia, escludendo i morti in combattimento. Esclusi dal riconoscimento gli uccisi mentre facevano volontariamente parte di formazioni non a servizio dell'Italia.
In conclusione, il provvedimento riduce tutto ad un conflitto nazionalistico e all’equiparazione di due totalitarismi, fascismo e comunismo. Non riconduce all’origine degli eventi, alla causa: l’occupazione da parte dei fascisti di Slovenia e Croazia. Una posizione che ha trovato conferma nei discorsi ufficiali pronunciati ogni anno da parte dei Presidenti della Repubblica. Come disse fin dal primo anno il presidente Ciampi «Tanta efferatezza fu la tragica conseguenza delle ideologie nazionalistiche e razziste propagate dai regimi dittatoriali responsabili del secondo conflitto mondiale e dei drammi che ne seguirono».
Secondo alcuni storici, come Giovanni De Luna e Franco Cardini, si è voluto istituire il "Giorno del Ricordo" in contrapposizione con il "Giorno della Memoria" che commemora la Shoah e con il 25 Aprile; altri, come Angelo d’Orsi, Claudio Vercelli, Tomaso Montanari, Galliano Fogar, il giornalista Paolo Rumiz, lo scrittore Antono Tabucchi e l’ANPI hanno espresso circostanziate critiche nel merito del provvedimento.
Come ha scritto lo storico Filippo Focardi ne Il cattivo tedesco e il bravo italiano. La rimozione delle colpe della seconda guerra mondiale, Roma-Bari editore Laterza 2016, «il giorno in ricordo delle foibe, fortemente voluto da Alleanza Nazionale, si è caratterizzato per una costruzione della memoria imperniata sulla denuncia della violenza comunista jugoslava contro gli italiani senza alcun riferimento al contesto storico, né alla precedente oppressione fascista delle minoranze slovene e croate incluse nel Regno d'Italia dopo la Grande Guerra, private della loro lingua e della loro cultura, né ai crimini commessi dal 1941 al 1943 dalle armate di Mussolini; antecedenti che almeno in parte spiegano la "controviolenza" successiva (animata però anche da radicali progetti annessionistici). Si è così proposta una memoria modellata sulla narrazione di matrice neofascista sviluppata fin dall'immediato dopoguerra, che riversa esclusivamente sulla Jugoslavia di Tito l'accusa di aver commesso crimini efferati in nome di un odio antitaliano votato alla pulizia etnica e giunge iperbolicamente a equiparare le foibe alla Shoah (si è parlato infatti di "Shoah italiana"). Risultano in questo modo del tutto trascurati sia le reali dimensioni del fenomeno sia i risultati della storiografia italiana e internazionale che ha indagato a fondo, ponendola in un più generale quadro europeo, l'evoluzione dei rapporti fra le popolazioni di origine italiana e slava di quelle regioni, nonché le violenze e i torti reciproci».
Suscita dubbi anche l’attivismo delle forze politiche che promossero l’istituzione del "Giorno del Ricordo", per lo storico Collotti (E allora le foibe?, collana Fact Checking: La storia alla prova dei fatti, Roma-Bari, Laterza, 2020) si tratta di un’operazione culturale volta a sostituire, per interessi meramente elettorali, una cultura legata ai valori della Resistenza e dell’antifascismo con una cultura di vere e proprie falsificazioni.
Persino Angelo del Boca, il massimo studioso del colonialismo, ha definito la commemorazione "una battaglia strumentale della destra in contrapposizione alla Giornata della Memoria, a cui i partiti di sinistra si sono adeguati per non lasciare il monopolio assoluto all'altra fazione".
Sicuramente questo giorno è stato utilizzato per cercare di cancellare la ferocia fascista nella Venezia Giulia tra le due guerre mondiali e l’occupazione della Slovenia nel 1941 con le persecuzioni nei confronti della popolazione locale. I crimini di guerra italiani in Jugoslavia furono sicuramente il terreno di coltura delle successive violenze.
Recentemente, l’attuale governo ha trasmesso al Parlamento un apposito disegno di legge per l’istituzione a Roma del "Museo del Ricordo", dove verranno rievocate le vicende dell'Esodo e delle Foibe ma non gli anni delle persecuzioni fasciste nei confronti delle popolazioni slave presenti nel territorio italiano poi passato alla ex-Jugoslavia.
Ancora una volta un ricordo a senso unico, un ricordo smemorato.
Adriana Spera
direttrice@ilfoglietto