Una breve analisi pubblicata sull’ultimo bollettino della Bce, dedicata agli andamenti delle retribuzioni nell’anno appena passato, arriva a una conclusione che è il caso di tenere a mente. Ossia che gli effetti della pandemia sul livello dei redditi inizieranno probabilmente a vedersi a partire da quest’anno, visto che in quello passato hanno prevalso gli effetti di “trascinamento” indotti dagli accordi siglari prima dello scoppio dell’emergenza sanitaria.
Per dirla con le parole della Banca, “gli accordi salariali conclusi prima dell’insorgere della pandemia svolgono ancora un ruolo dominante nei recenti andamenti dell’indicatore dei tassi di crescita delle retribuzioni contrattuali”. Ciò in quanto, “l’indicatore delle retribuzioni contrattuali tende a rispondere agli andamenti ciclici del mercato del lavoro con un ritardo temporale di alcuni trimestri”.
Tuttavia, pure se “i recenti andamenti della crescita delle retribuzioni contrattuali non indicano che le turbolenze del mercato del lavoro legate alla
pandemia abbiano avuto finora un impatto rilevante”, la dinamica retributiva, come si osserva dal grafico sopra, ha avuto un certo rallentamento negli ultimi trimestri.
In particolare, per una serie di ragioni legate alla stagionalità, si è passati da una crescita dell’1,9% nel primo trimestre a quella dell’1,6 nel terzo. Si tratta comunque di dinamiche simili a quelle medie rilevate sin dal 1999, come si può osservare dal grafico sotto.
Preoccupa piuttosto la circostanza che “è probabile che la composizione dell’occupazione sia cambiata, poiché la pandemia ha causato perdite di posti di lavoro in particolare nel settore dei servizi, che ha un numero relativamente elevato di posti di lavoro poco retribuiti, aumentando quindi automaticamente la retribuzione media”.
Questa sorta di “illusione” statistica potrebbe celare una pressione al ribasso delle retribuzioni pronta a manifestarsi qualora la situazione dei mercati si deteriorasse ulteriormente o venissero meno i sostegni all’occupazione che ancora tengono in piedi il mercato del lavoro. Si pensi al blocco dei licenziamenti, o all’esistenza di lavoratori ad orario ridotto che rischiano di finire disoccupati.
In tal caso, si potrebbero verificare gravi impatti sulle retribuzioni. E se ricordiamo quanti contratti siano ancora in attesa di rinnovo nel nostro paese, questo significa innescare potenzialmente una robusta deflazione salariale, che oltre ad essere profonda potrebbe anche diventare duratura, vista la tendenza del mercato a perpetuare i suoi cicli, una volta consolidati.
A far la differenza, qui come altrove, sarà la durata della pandemia, finora ignota. E questo è solo il primo dei problemi.
Maurizio Sgroi
giornalista socioeconomico
Twitter @maitre_a_panZer