"Non c’è nessuna riforma previdenziale che tiene nel medio-lungo periodo con i numeri della natalità che abbiamo oggi in questo paese”. Con questa dichiarazione, frutto di una estrema semplificazione della questione, il ministro dell’economia Giorgetti ha messo una pietra tombale alla possibilità di rivedere le regole del sistema previdenziale.
Se fosse vero quanto affermato dall’attuale ministro dell’economia, la riforma previdenziale andrebbe accantonata per sempre, perché la stagione dei baby boomer, ovvero l’esplosione demografica che ha conosciuto il mondo occidentale dopo la fine della seconda guerra mondiale, non tornerà più. La sostenibilità nel medio-lungo periodo del pagamento delle pensioni, però è legata ai futuri lavoratori più che alle future nascite e non è detto che le due cose debbano coincidere.
L'uscita del Ministro non sorprende più di tanto, perché la marcia indietro si ripete ogni anno alla vigilia della sessione di bilancio, a prescindere dal governo di turno, salvo poi annunciare la costituzione di un tavolo tecnico con le parti sociali, a partire dall’anno successivo, che non sfocia mai a niente.
Ma la discussione verte su una errata percezione del diritto alla pensione, che deriva da un approccio distorto al problema. Il sistema previdenziale va riformato in quanto è ancora tarato nell’ottica del sistema retributivo, che garantiva un assegno pensionistico al raggiungimento di determinati requisiti anagrafici e di anzianità contributiva.
Con l’attuale sistema contributivo, in vigore per tutti i lavoratori dal 2012, il rateo pensionistico si basa sull’equilibrio attuariale tra il montante contributivo accumulato alla fine dell’attività lavorativa e la speranza di vita residua. Maggiore è l’età alla quale si va in pensione e più alto sarà l’assegno, che però sarà goduto per un periodo più breve, rispetto alla possibilità di smettere di lavorare anticipatamente. In questo senso, il sistema contributivo è svincolato dal requisito dell’età anagrafica minima per andare in pensione, dovendo solo assicurare che la pensione maturata sia sufficiente a garantire una vita residua dignitosa.
La riforma del sistema previdenziale non è, quindi, un capriccio di qualcuno, ma deriva dalla discrasia generata dal legislatore, che ha vincolato anche i lavoratori con trattamento contributivo alle regole di uscita pensate per il sistema retributivo.
A marzo 2018, con l’articolo Pensione a pezzi, apparso su LaVoce.Info, proposi di scorporare l’assegno retributivo da quello contributivo per i lavoratori in regime misto, concentrando l’attenzione sui giovani lavoratori e quelli disagiati, che pagheranno prima o poi le storture del sistema pensionistico. La modifica non aveva costi aggiuntivi per le Casse previdenziali, ma concedeva ad alcuni una maggiore flessibilità nella risoluzione del contratto di lavoro.
Se fosse stata accolta fin da allora, si sarebbero evitate "Quota 100" (dal 2019 al 2021), "Quota 102" (2022) e "Quota 103" (2023), che hanno gravato inutilmente per svariati miliardi sul bilancio dello Stato e sarebbe stata archiviata la riforma Fornero, con tutte le polemiche ad essa collegate.
Al giorno d’oggi, non ha più senso parlare di pensione di vecchiaia o anticipata, come invece si continua a fare. Vanno entrambe abolite e sostituite da una pensione lavorativa, per maturare la quale è sufficiente raggiungere con il regime contributivo un montante adeguato. Ai lavoratori in regime misto, una categoria che con il tempo è destinata a scomparire, è riservata anche una pensione integrativa per riconoscere i versamenti effettuati prima del 1996 con il sistema retributivo.
In questo modo, nessuno percepirebbe più di quello che gli spetta e chi ha maturato un rateo sufficiente può andare in pensione a suo piacimento, ma senza gravare sui conti pubblici. Tutto molto semplice e fattibile fin dalla prossima Legge di bilancio.
Tale semplificazione del sistema previdenziale metterebbe, però, a nudo la vera questione che si dovrebbe affrontare, ovvero l’insufficienza dei contributi versati dai giovani lavoratori per avere in futuro una pensione dignitosa, che implica non più la sostenibilità del solo sistema previdenziale, ma quella dell’intero tessuto sociale negli anni a venire.
Ed è forse proprio per questo che i governi preferiscono prendere tempo, trincerandosi dietro i vincoli di bilancio, ma al tempo stesso continuando a sprecare soldi pubblici con misure tampone che avvantaggiano solo pochi.
Franco Mostacci
ricercatore statistico, analista economico, giornalista pubblicista