Giornale on-line fondato nel 2004

Venerdì, 05 Dic 2025

Gli ultimi dati diffusi dalla Bis rivelano l’ennesima illusione che alimenta il nostro dibattito pubblico e le profezie di tanti sciamani della politica e dell’economia, che scambiano i loro desideri con la realtà.

La Banca illustra chiaramente che esistono rischi per la tenuta del commercio internazionale, che è uno dei modi coi quali si declina la globalizzazione, che derivano dal peggiorare delle relazioni internazionali. La qualcosa ricorda la scoperta dell’acqua calda. Ma al tempo stesso mostra come non solo il rischio geopolitico sia drasticamente diminuito dal picco raggiunto con l’invasione russa dell’Ucraina, ma sia anche tornato al livello della media storica di lungo periodo.

Non siamo, insomma, distanti da come siamo stati nell’ultimo trentennio. A fronte di questo, il peso del commercio sul pil, diminuito dal picco del 2008, rimane comunque superiore al 22 per cento, un livello simile a quello dei primi anni Duemila, quando il clima geopolitico era idilliaco, rispetto a quello di oggi. Ciò per dire che il commercio se la cava. Non fa faville, ma non siamo neanche negli anni Trenta del Novecento. La globalizzazione, se uno la intende come la trama delle relazioni internazionali, invece va alla grande. Anche negli anni Trenta del secolo scorso, a ben vedere, è andata alla grande, solo che nel verso sbagliato. Infatti è scoppiata una guerra globale.

Ciò per dire che usare l’andamento del commercio di beni e servizi come termometro della globalizzazione offre solo una visione parziale della complessità delle relazioni che nel tempo si sono tessute a livello internazionale e che l’economia fotografa solo in parte.

La Bis ci ricorda un’altra evidenza, che speso rimane sottaciuta nel dibattito pubblico: “I paesi che dipendono di più dai partner geopoliticamente più distanti tendono ad avere alternative limitate”. Cina e Usa, tanto per fare nomi, sono praticamente condannate a parlarsi e scambiarsi beni. A meno che non si pensi che si possa fare altrove, ad esempio in India, ciò che si è fatto in Cina, ossia delocalizzare massicciamente le catene di produzione.

In teoria si può dire, ma farlo è un altro paio di maniche. Servono non solo risorse e infrastrutture. Ma soprattutto serve tempo. E il tempo è denaro, com’è noto.

Maurizio Sgroi
giornalista socioeconomico
autore del libro “La storia della ricchezza”
coautore del libro “Il ritmo della libertà”
Twitter @maitre_a_panZ
Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

Ti piace l'informazione del Foglietto?

Se ti piace quello che leggi, puoi aiutarci a continuare il nostro lavoro sostenendoci con quanto pensi valga l'informazione che hai ricevuto. Anche il costo di un caffè!

SOSTIENICI

empty alt

Il "Big Beautiful Bill Act" di Trump fa esplodere il debito pubblico Usa

Un corposo paper pubblicato di recente dal NBER ci mette nella condizione di comprendere meglio...
empty alt

Maud Menten: una legge al femminile

Tutti gli studenti di chimica e biochimica incontrano, prima o poi, l’equazione di...
empty alt

UniTrento ospita seminario su “Migrazioni, salvataggi in mare e geografie del Mediterraneo”

Un mare che unisce e divide, che accoglie e respinge, che salva e troppo spesso inghiotte: il...
empty alt

“The Teacher”, film di lotta ispirato a fatti reali sulla tragica realtà palestinese

The Teacher, regia di Farah Nabulsi, con Saleh Bakri (Basem El-Saleh), Imogen Poots (Lisa),...
empty alt

La sfida di Schlein a Meloni? Iniziativa inopportuna

La Schlein lancia la sua sfida a Giorgia Meloni: vengo ad Atreju se a sfidarmi sei tu Giorgia....
empty alt

Ponte sullo Stretto, rese note le motivazioni del disco rosso della Corte dei conti

La Sezione centrale di controllo di legittimità della Corte dei conti ha depositato in data...
Back To Top