Raccontare una storia è un modo interessante di parlare del presente. D’altronde, se la Storia è davvero maestra di vita, come insegnano i proverbi, allora dovrebbe essere consuetudine comune pescare nell’infinito calderone del passato quando ci troviamo qualcosa che può essere utile per parlare di quello che succede. E forse questo pensiero ha ispirato i ricercatori del Nber che hanno pubblicato un bel paper che racconta una storia che oggi suona quanto mai attuale: quella del Chinese exclusion act, un provvedimento del governo americano che nel 1882 stroncò l’impetuosa crescita dell’immigrazione cinese negli Stati Uniti, determinando conseguenze non esattamente positive per ampie parti del territorio.
La storia è poco nota, e quindi merita di essere ricordata. Siamo nel periodo in cui in Gran Bretagna, all’epoca egemone globale, con la sua sterlina e le sue flotte diffuse per tutto il globo, dilaga la russofobia. Il timore vale a dire che la Russia, all’epoca impegnata in un ampio processo espansionistico che la farà dilagare lungo tutto il centro dell’Asia, arrivasse fino in India, la perla dell’impero britannico, che giovava anche significativamente all’economia di Sua Maestà.
Mentre queste grandi potenze si disputavano l’egemonia globale, con la Germania guglielmina e la Francia a guardarsi in cagnesco, il grande problema degli Stati Uniti, ancora ai margini del Grande Gioco, erano, ieri come oggi, i cinesi. L’America era stata al centro di un grande afflusso migratorio dalla Cina. I lavoratori cinesi, oscure maestranze nell’industria nascente delle ferrovie e largamente impiegati nelle miniere, nel 1882, quando fu promulgato l’Atto, costituivano il 12% della forza lavoro di sesso maschile e il 21% del totale degli immigrati nella parte occidentale degli Usa. In questo contesto venne fuori il solito argomento che anima ogni campagna contro l’immigrazione. Ossia che gli immigrati, in questo caso i cinesi, rubavano il lavoro ai bianchi. E poco poterono fare gli uomini d’affari, che sull’immigrazione cinese avevano lucrato grandi guadagni.
L’Atto del 1882, approvato sull’onda della pressione popolare, dispose di fatto il blocco degli ingressi di nuovi lavoratori cinesi negli Usa e limitò fortemente per quelli residenti la possibilità di ottenere la cittadinanza. Fu un atto di evidente ostilità che ebbe come conseguenza un notevole esodo di cinesi dal paese e provocò condizioni di vita molto difficili per quelli che vi rimasero.
Il paper, e questo è il punto interessante, cerca di far luce su eventuali vantaggi che i lavoratori bianchi, ossia coloro che avrebbero dovuto beneficiare del Chinese exclusion Act, hanno ottenuto da quest’esodo di cinesi. L’analisi è stata condotta nel periodo fra il 1850 e il 1940, prendendo otto stati Usa come campioni di riferimento, ossia quelli dove si concentrava gran parte dell’immigrazione cinese.
Gli appassionati di storia faranno bene a leggere tutto il paper, dove troveranno anche interessanti riferimenti al periodo osservato. Qui, dove i grandi protagonisti sono i numeri dell’economia ci limitiamo a pochi dati che servono a fornire alcune indicazioni utili.
L’applicazione della norma di esclusione fece diminuire l’offerta di lavoro cinese del 64%, come era prevedibile. I lavoratori bianchi, che pesavano il 92% della popolazione negli stati campione osservati, non ne ebbero alcun beneficio. Al contrario: l’offerta di lavoro di questi lavoratori diminuì del 28% e si osservò anche una diminuzione delle retribuzioni. Per capire perché mai possa succedere una cosa del genere basta un semplice esempio: ridurre i minatori cinesi che cavano argento dalla terra, implica una diminuzione dell’estrazione di questo materiale, che magari, nei successivi passaggi della catena di prodotto impiegava lavoratori bianchi.
Dal punto di vista della produzione, l’esodo dei cinesi ridusse l’output complessivo della manifattura del 62%, con un calo degli stabilimenti manifatturieri stimato fra il 54 e il 69%, sempre nei territori considerati.
I dati, ovviamente, vanno presi con le pinze, soggetti come sono a stime ed ipotesi. Ma sono utili indicatori di tendenze generali. Ad esempio si osserva che gli effetti economici avversi si sono verificati nelle zone economiche a immigrazione cinese, quelle occidentali, che hanno performato peggio di quelle dell’East coast. Al tempo stesso, gli unici lavoratori bianchi che sembra abbiano goduto di vantaggi dall’esodo cinesi sono stati i minatori bianchi che vivevano nella zona dell’esodo, che hanno goduto della minore concorrenza di immigrati. Al tempo stesso il provvedimento sembra abbia scoraggiato lo spostamento anche di lavoratori bianchi da Est a Ovest, con la conseguenza che “l’atto ha ridotto la crescita economica del West per molti decenni”. Fu molto difficili per gli stati occidentali riuscire a rimpiazzare così tanta forza lavoro.
Fin qui la storia. Che oggi, quando gli Usa sembrano di nuovo alle prese con un diffuso senso di ostilità verso la Cina, che ieri come oggi, recita la vulgata, “ruba il lavoro agli americani”, risulta particolarmente istruttiva. Specie per chi conosce anche solo un po’ la struttura dell’economia statunitense. La storia è maestra di vita, appunto. Ma spesso gli scolari sono distratti.
Maurizio Sgroi
giornalista socioeconomico
autore del libro “La storia della ricchezza”
coautore del libro “Il ritmo della libertà”