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Venerdì, 05 Dic 2025

Una frase fra le tante, infilate in un pregevole studio del NBER (National Bureau of Economic Research) dedicato ai dilemmi fiscali statunitensi, dice molto più di mille parole sullo spread che esiste fra le stupidaggini che si danno in pasto al popolo, per soddisfare i suoi bassi istinti, e l’amara verità della contabilità.

Ve la riporto testualmente: “Anche se l’occupazione civile federale diminuisse di un quarto, il che porterebbe tale occupazione al livello più basso dal 1950, il risparmio in termini di retribuzioni sarebbe inferiore allo 0,3% del PIL”.

Basta questo per far capire quanto l’attuale amministrazione Usa, con tanto di licenziamenti annunciati via mail e poi ritirati e poi di nuovo lanciati nell’orbita del dibattito pubblico come palloncini, sappia quello che dice. Si fa demagogia, che costa poco a porta tanti voti. Ma con la demagogia non si risanano i bilanci dello stato. E quello statunitense sembra ormai avviato verso una situazione complicata a dir poco. O per dirla con le parole degli autori “insostenibile”.

Prima di guardare alle varie ragioni che hanno condotto, dopo una lunga marcia, il bilancio dello stato Usa a uno stato di sostanziale criticità, per non dire disperazione, vale la pena ricordare un paio di dettagli che raccontano del futuro dei conti pubblici statunitensi e, indirettamente, della società americana. Il primo è la spesa sociale.

 

La spesa per la social security Usa e i programmi sanitari era l’8% del pil 30 anni fa, è arrivata all’11% nel 2025 ed è prevista al 14% fra trent’anni. Per avere un’idea di quanto pesi in termini assoluti, basta rilevare che i vari programmi che rientrano in questa voce di spesa pesano già più della metà di tutte le spese federali esclusa quella per interessi.

L’aspetto interessante è capire quali siano queste altre voci di spesa, che come si vede dal grafico sopra sono previste in calo costante. Nel pacchetto c’è di tutto. Ci sono le spese per la difesa e quelle per la non difesa, le cosiddette “spese discrezionali”, che coprono vari capitoli di bilancio: autostrade, assistenza per la casa, ricerca, istruzione, assistenza per i veterani, ma anche i food stamps, meglio conosciuti come SNAP, che forniscono sostegno alimentare ai meno abbienti, eccetera.

Le previsioni, dicevamo, stimano che questa quota di spesa pubblica scenderà dal 9% del pil del 2025 al 7% del 2055. Per la memoria, la quota più bassa di questo rapporto, a far data dal 1962, si toccò sul finire degli anni Novanta, quando questa spesa arrivò all’8,3% del pil. Ciò per dire che si tratta di voci di spesa difficili da comprimere. E anche se l’attuale amministrazione dice di essere intenzionata a usare le forbici, la storia ci ricorda, come scrivono gli autori, che “i precedenti sforzi per ridurre tali stanziamenti non sono stati sostenuti”. Facile a dirsi insomma. Ma provateci a voi a togliere i benefici ai veterani Usa, che peraltro sono in larga parte grandi sostenitori di questa amministrazione, oltre ad essere numerosissimi.

Al di là di ciò che si dice, insomma, abita la fredda aritmetica della contabilità, con la sue astruse formule per stimare la sostenibilità dei debiti. Come regola generale si dice che se un’economia cresce più del suo tasso di interesse reale che paga sui debiti, si evita l’effetto snowball, che noi italiani conosciamo bene, e il debito si regge sulle sue gambe. Ma per gli Usa ormai da un pezzo non è più così.

Dal 1962 al 2007 il deficit primario degli Usa o non c’era, perché il bilancio era in attivo, o era molto piccolo. In media si è collocato allo 0,1% del pil, mentre il tasso reale di interesse si collocava mediamente a 0,4 punti sotto quello del deficit primario. Sicché il debito complessivo, che era inferiore al 50% del pil nel 1962, arrivò addirittura a diminuire al 35% nel 2007.

E’ proprio il 2007 l’anno in cui tutto cambiò. L’anno in cui si conclamò la crisi subprime, nel caso l’aveste dimenticata. E la cosa interessante è che nessuno poteva immaginare quanto sarebbe cambiata. Ce ne possiamo fare un’idea confrontando le proiezioni di quello anno sull’andamento del debito con quelle di sei anni dopo.

nber proiezioni storiche

L’inversione del 2007, quando i deficit si impennano, viene ulteriormente aggravata da due sostanziali tagli fiscali decisi nel 2012, quando si decise di rendere permanenti i tagli fiscali decisi fra il 2001 e il 2003 (gli anni dopo lo sboom di internet), e soprattutto i tagli fiscali decisi nel 2017, quando nel frattempo si verificavano due recessioni.

Quindi: tagli fiscali generosi, invecchiamento della popolazione che aumenta la spesa sociale, crescente spesa per interesse sui debiti, aggravati dal suddetto effetto snowball. Si capisce perché gli analisti ne deducano che “le attuali politiche fiscali degli Stati Uniti sono quasi certamente insostenibili”. Niente male per il paese che emette la moneta internazionale.

Maurizio Sgroi
giornalista socioeconomico
autore del libro “La storia della ricchezza”
coautore del libro “Il ritmo della libertà”
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