Redazione
Il diritto alla privacy deve essere riconosciuto, in carcere, anche ai “padrini” di Cosa Nostra.
Dunque, anche un noto boss mafioso detenuto nel carcere milanese di Opera non può essere videosorvegliato mentre, nella sua cella, è alla toilette.
Lo ha confermato la Corte di Cassazione - con una sentenza emessa il 26 aprile 2011 della quinta sezione penale - respingendo il ricorso del pubblico ministero del Tribunale di Milano, che sosteneva la necessità, per motivi di sicurezza, di mantenere costante il regime di videoripresa, compreso il momento delle esigenze fisiologiche del detenuto.
Con questa decisione, la Suprema Corte conferma, ancora una volta, il diritto a mantenere preservata «l’intimità e la riservatezza» di chi è già sottoposto al regime del “41 bis”, che rappresenta un complesso di misure, meglio note come “carcere duro”, introdotte nel 1986, con successive modifiche, nella legge sull’ordinamento penitenziario.