di Adriana Spera
Nonostante l'ostruzionismo del governo e dei mezzi di informazione, dopo 16 anni si è raggiunto il quorum per i referendum abrogativi.
Un risultato che denota non solo il divorzio tra il paese e la maggioranza che lo governa ma, anche, tra gli italiani e la cultura berlusconiana, tra chi stenta ad arrivare a fine mese ed i poteri forti del paese; tra chi fatica a pagare le tariffe dei servizi pubblici e chi dà l'assalto ai beni comuni acquisiti con il sudore di tutti gli italiani.
Una contrapposizione quest'ultima che deve far riflettere anche il centro-sinistra sulle politiche sbagliate condotte negli ultimi venti anni.
Un ventennio in cui si sono svenduti i gioielli di famiglia degli italiani e si è introdotta una deregulation sulle aziende erogatrici di servizi, che rischia di portare alla bancarotta delle stesse. Con aziende divenute di diritto privato pur essendo a prevalente o totale capitale pubblico abbiamo assistito a numerosi scandali (da ultimo, alla parentopoli romana), disservizi, incidenti sul lavoro, ed altro, di cui tutti i cittadini pagheranno il conto con i rincari tariffari.
Sono stati anni in cui non si è voluto tener conto della volontà popolare già espressa attraverso una consultazione referendaria precedente, come nel caso del nucleare, ma si è voluto tornare a rimetterlo in cantiere. Con il voto referendario i cittadini hanno chiesto con forza di essere nuovamente protagonisti delle scelte che riguardano il bene comune e la qualità della loro vita.
Ma hanno anche ribadito con fermezza che tutti devono essere uguali dinanzi alla legge, che tutti devono avere pari opportunità, senza corsie preferenziali e/o parentali.
Hanno chiesto infine che la pubblica amministrazione sia una casa di vetro, governata con competenza e bene, perché è un patrimonio collettivo.