di Adriana Spera
Ancora una volta, abbiamo assistito allo spettacolo indecoroso di uno dei tanti "imprenditori morali" che impazzano in questo paese.
Gli "imprenditori" in questione sono quei politici o falsi intellettuali che, di volta in volta, indicano una categoria da blandire per ottenere consensi nella parte più becera.
Nel caso del ministro Brunetta, si tratta di coloro che, restii a pagare le tasse, si lavano la coscienza incolpando i dipendenti pubblici di tutti i mali del paese. Brunetta dimentica che ogni eletto rappresenta tutti i cittadini (anche chi non l'ha votato) e che, in quanto tale, ha il dovere di confrontarsi e di ascoltare ogni istanza, altrimenti, meglio restarsene a casa.
Tuttavia, la reazione dell'irascibile ministro non ci meraviglia: è coerente con la cultura dominante e trasversale, che non ammette dissensi o perplessità sulle soluzioni adottate, figuriamoci poi se si parla di proposte alternative avanzate per risolvere i problemi che affliggono il paese.
Il precariato, l'efficienza e la razionalizzazione della P.A. sono in testa. In questi anni, se l'avesse voluto, anziché fare demagogia, dando la caccia sui media, a fantomatici fannulloni, il ministro poteva chiudere, una volta per tutte, la piaga del precariato, emanando una nuova legge sulle stabilizzazioni, per poi tornare a bandire concorsi pubblici trasparenti, con commissioni serie, con prove selettive rigorose, che possano essere superate dai migliori e non da parenti, amici e conoscenti di qualche maggiorente.
Infine, avrebbe dovuto emanare un vero codice etico per dirigenti pubblici, per precludere ai parenti dei medesimi di partecipare a concorsi presso gli enti dove operano.
Se il ministro sapesse che la P.A. è il motore del paese, avrebbe fatto questo e molto altro.
Non è accaduto. E gli elettori di recente hanno sancito qual è la parte peggiore del paese.