di Adriana Spera
In passato, l'aspirazione degli scienziati di casa nostra era la libertà di ricerca.Oggi sembrano prevalere aspirazioni di tipo mercantile.
Pullulano personaggi che siedono su più poltrone, presidenze di enti, cattedre universitarie, cda di società. Ruoli spesso incompatibili, infarciti di conflitti di interesse.
Non infrequenti le nomine di persone con curriculum inconferente con l'incarico assegnato, visto che non c'è a monte una selezione degna di tal nome, con bando pubblico europeo e commissione di valutazione di esperti di chiara fama.
Il fondo l'hanno toccato ministri che - in barba alla legge vigente - per ben due mesi sono stati controllori e controllati da se stessi, inventori dell'istituto dell'autosospensione.
Al posto dei bandi si applica il sempre verde manuale Cencelli, esteso ai poteri forti dell'economia, coniugato al nepotismo.
L'assalto agli enti di ricerca coinvolge presidenti e vertici amministrativi, tutti accomunati da selezioni a dir poco discutibili.
Il risultato è quello di un settore vitale allo sbando, in declino. La qualità è inversamente proporzionale ai costi degli apparati perché alla ricerca vera e propria si destinano risorse sempre più esigue, come ha certificato più volte la Corte dei Conti.
Da anni le istituzioni fanno il pianto del coccodrillo su questa situazione, sui giovani scienziati in fuga, sulla necessità di investire nel comparto per garantire un futuro al paese, ma nulla cambia.
Un'oligarchia che può condizionare investimenti e orientamenti scientifici, talvolta persino vicende giudiziarie, che rivendica il diritto al cumulo di incarichi e laute retribuzioni. Un'oligarchia ladra del futuro delle menti brillanti che vivono un quotidiano da parìa della ricerca.
Se c'è una riforma da fare subito è quella di vietare il cumulo di incarichi e di retribuzioni.