di Adriana Spera
Quella appena trascorsa è stata un'altra brutta settimana per i lavoratori italiani.
Dopo i dati Istat sull'occupazione e quelli di Bankitalia sulle retribuzioni delle donne, il sottosegretario (dagli illustri natali) Michel Martone e il premier Mario Monti hanno catechizzato o meglio offeso, il primo, gli studenti fuori corso e, l'altro, i precari.
Affermazioni dimentiche che la carta fondamentale della nostra Repubblica, nata con il sacrificio di tante vite, ancora recita all'art.1 che "L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro" e, agli artt. 4, 35, 36, 37 e 38, riconosce a tutti/e il diritto ad un lavoro tutelato, ben retribuito e con pari diritti e una previdenza e assistenza per anziani, disoccupati e disabili.
Un sistema di diritti che - senza essere stato mai pienamente attuato, neppure dallo Statuto dei lavoratori, che si limitò a tutelare pienamente solo gli occupati nelle aziende con più di 15 dipendenti - ha subito, dalla emanazione della legge Treu in poi, una erosione continua.
Oggi, con l'ennesimo assalto all'articolo. 18, favorito da crisi e disoccupazione, si vuole cancellare l'ultimo emblema della dignità del lavoro rispetto al capitale.
Dire "I giovani si abituino all'idea di non avere più il posto fisso, che, oltre tutto, è monotono”, significa togliere a loro ogni prospettiva di un futuro dignitoso.
Dirlo, poi, con tutto ciò che si apprende ogni giorno su qualche ministro o sottosegretario, fa emergere il volto bifronte di governanti, che per se stessi e per i loro familiari, né sfigati né annoiati, hanno lavori stabili e lautamente retribuiti, mentre ai comuni mortali vorrebbero riservare precarietà, sottoccupazione e lavoro nero.