di Adriana Spera
Uno strano fenomeno sembra affliggere la classe politica italiana: la mancanza di memoria.
Sarà l'età (mediamente, 59 anni), il sesso (80%, uomini), il reddito elevato. I politici nostrani sono poco abituati a confrontarsi con le difficoltà del quotidiano.
Avulsi dalla realtà, non possono capire quanto i cittadini si sentano traditi allorché una legittima aspettativa viene negata, quando una piccola conquista di civiltà, prima riconosciuta, viene poi cancellata.
Peggio ancora quando si ignora volutamente una decisione referendaria. Ma tant'è.
Negli anni, abbiamo visto sistematicamente inapplicata la volontà popolare. E' stato così per i referendum sul nucleare (dopo quelli del 1987 e dello scorso anno, c'è ancora chi pensa di utilizzare quella tecnologia), sull'acqua pubblica, sul finanziamento pubblico ai partiti.
Capitolo ostico quello delle risorse. Dopo la decisione del Governo di tagliare le retribuzioni ai parlamentari, vi fu una levata di scudi e al contempo l'impegno da parte dei deputati ad autoridursi gli emolumenti. All'uopo, fu nominata una commissione di esperti, poi dimessasi. Risultato: non se ne parla più.
Ci sono, poi, coloro che quasi quotidianamente fanno appelli e richiami alla sicurezza sul lavoro, ma nulla hanno fatto quando con la legge 133/08 vennero ridotte le tutele previste dal D. Lgs. 81/08.
Non da meno sono coloro che, pur avendo scritto una legge sull'immigrazione ferma allo jus sanguinis per l'attribuzione della cittadinanza ai figli di migranti nati in Italia, ora fanno proclami affinché si modifichi proprio quella legge, come se fossero estranei al processo legislativo che la partorì.
Ma in questi ultimi mesi, al difetto di memoria si è aggiunta l'incultura politica, come dimostrano le "riforme" che cancellano diritti costituzionalmente garantiti, che demoliscono il bene comune per gli interessi di pochi eletti.