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Lunedì, 20 Mag 2024

altI disastri naturali che con sistematica frequenza si verificano in Italia (terremoti, frane, alluvioni, e altro) ripropongono periodicamente il problema del monitoraggio e della politica del territorio. A questo problema non è mai stata data in Italia una risposta adeguata, ma si è continuato, sulla spinta delle catastrofi e delle conseguenti emozioni, a operare con soluzioni di emergenza. Le polemiche che di volta in volta si accendono fra Protezione Civile, Autorità locali e altri, dimostrano come non si voglia affrontare il problema in modo strutturale.

L'ultimo disastro, quello del viadotto siciliano, ha di nuovo posto il problema all'attenzione nazionale. In merito, ho appreso da un videogiornale la notizia secondo la quale il governo si appresterebbe a rivalutare il ruolo dei Dipartimenti di Scienze della Terra in Italia, vale a dire (se la notizia fosse vera, e non si trattasse di una esagerazione giornalistica) che si penserebbe di "risolvere" il problema del territorio attraverso le Università. Sono un geologo, professore universitario in un dipartimento appunto delle Scienze della Terra, e quindi la notizia mi dovrebbe rallegrare. Ritengo, invero, che la soluzione prospettata stia ad indicare solo come la confusione regni sovrana. Si confonde cioè il ruolo dei geologi in quanto universitari con quello della gestione del territorio.

Gli universitari devono svolgere un ruolo di formazione dei giovani e di ricerca avanzata ... Che c'entrano con la gestione del territorio? Paradossalmente, si prospetta una soluzione tesa a "rafforzare" una mini corporazione debole! Le corporazioni universitarie, vanno distrutte tout court. Su come si dovrebbe intervenire con l'accetta sull'Università, facendo tabula rasa degli interessi corporativi che presiedono a tutte le scelte relative al settore, che pongono l'Italia in una posizione di retroguardia rispetto a tutti i Paesi sviluppati del mondo, come ho hià scritto in diversi articoli sul Foglietto, quindi non mi dilungo sul tema.

Una risposta strutturale adeguata alla vulnerabilità del nostro territorio dovrebbe invece passare attraverso la riorganizzazione, su basi moderne, di un Servizio geologico nazionale strutturato come Agenzia di Servizio e Ricerca, e parallelamente di Servizi geologici regionali. Le Università devono operare a monte di questi organismi, in strutture assolutamente interdisciplinari (e quindi non in piccoli Dipartimenti monotematici di Scienze della Terra!) la cui missione principale dovrebbe essere quella di coordinare la ricerca di base e la didattica su tutte le tematiche che si pongono l’obiettivo di migliorare la capacità di lettura del territorio.

Sulla base degli studi e delle cartografie prodotte dai Servizi geologici, nazionale e regionali, sarebbe possibile pianificare l’uso del territorio e, per le aree ad alto rischio, imporre, laddove necessario, vincoli molto rigidi come, per esempio, l’inedificabilità assoluta. Sarebbe possibile, in questo modo, individuare le responsabilità nel caso di disastri e non si assisterebbe più alle solite polemiche e balletti per cui nessuno è colpevole di alcunché. In questo ambito andrebbe fatta assoluta chiarezza sul fatto che la prevenzione e la protezione del territorio devono essere tenute separate, in quanto rappresentano due momenti distinti e conflittuali fra di loro, sia per interessi che per competenze.

In questo contesto dovrebbe, per esempio, essere assolutamente vietato alla Protezione Civile (PC) di finanziare, in modo più o meno coperto la ricerca a Enti di riferimento, quali ad esempio l'Ingv. La PC nella prevenzione si deve avvalere del parere degli esperti che esprimono i Servizi di cui sopra, le Università, il Cnr, l'Ingv e altri. In ltre parole, non dovrebbe avere i suoi scienziati di riferimento, e la scelta degli esperti andrebbe effettuata con procedure di evidenza pubblica. Insomma la PC non può fare semplicemente da cassa di risonanza degli interessi corporativi di gruppi di potere universitari e viceversa i professori esperti non dovrebbero trovarsi nella posizione di dover ringraziare qualcuno per giustificare la loro presenza nelle commissioni di esperti della PC. Se non si esce da questo conflitto di interessi, i disastri in Italia continueranno ad essere politici e non naturali.

I Servizi geologici devono avere obiettivi scientifici mirati alla comprensione delle interazioni che intercorrono fra contesto geologico-strutturale e attività umane. Alla struttura nazionale vanno lasciati compiti di coordinamento e di esecuzione di programmi che necessitano di una visione sovraregionale e compiti di coordinamento e di studi a carattere extranazionale (coordinamento con i Servizi geologici europei e possibili interventi in Paesi terzi, per esempio, nel settore degli studi e dell’approvvigionamento di materie prime).

I Servizi regionali dovrebbero avere priorità nella definizione e valutazione dei rischi geologici e dei loro effetti in merito all’uso “locale” del territorio. Nei Servizi geologici strutturati come un’Agenzia di Servizio, con un forte orientamento verso la ricerca applicata alle problematiche del territorio, andrebbe prevista l’assunzione di tecnici con competenze non solo prettamente geologiche, ma anche di altre discipline (Ingegneri Idraulici, Scienze dei Suoli, Biologi, Informatici), dando così anche una risposta strutturale al problema della disoccupazione giovanile. Se si creasse un indotto del genere, ne beneficerebbero anche le università e i giovani ad esse affidati.

La cosa più importante è quella di tenere fuori da una strutturazione di Servizi geologici come sopra indicato, gli universitari con tutte le loro perverse logiche "protezionistiche" a difesa degli interessi corporativi che hanno provocato e provocano solo immani danni al nostro Paese. Che poi, all'interno delle logiche universitarie, si voglia fare una politica tesa a non fare scomparire i Dipartimenti di Scienze della Terra nell'offerta formativa in Italia, è altra storia.

Ma per non fare sparire queste specificità bisognerebbe andare esattamente nella direzione opposta, vale a dire determinare un processo di apertura teso alla multidisciplinarietà piuttosto che ad un processo di "chiusura" teso a garantire logiche protezionistiche di raggruppamenti universitari e di settori scientifico disciplinari. Ricordo qui - ma riprenderò il tema in altro intervento - che l'Italia in termini di rivoluzione borghese e liberista è ferma al 1799!

Se quanto sopra non viene capito dipende dal fatto che non c’è assolutamente coscienza delle vaste opportunità che si realizzerebbero per tanti se ci si aprisse alla "diversità" come fattore di arricchimento, non restando romanticamente ancorati al fatto che un Dipartimento che si occupi del sistema Terra debba essere riservato solo a geologi, geofisici, geochimici e altro. Il vero passo in avanti dovrebbe consistere nel dimenticare le proprie particolarità per andare decisamente nella direzione di strutture che coinvolgano quante più competenze possibili nei settori dell’ambiente e del territorio.

*Professore Ordinario in Geochimica Ambientale presso l'Università di Napoli Federico II e Adjunct prof. presso Virginia Tech, Blacksburg, VA, USA

 

 

 

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