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Lunedì, 20 Mag 2024

altSe una volta i messaggi al popolo bue venivano fatti dai balconi, oggi si preferisce farli dallo schermo televisivo. Le teleprediche sono una consuetudine nei paesi con regimi autoritari, durano  ore e narrano di un paese inesistente, impossibili benefici derivanti da leggi liberticide. Anche il nostro Renzi da qualche mese ha intrapreso questo modus operandi, per magnificarci la sua “buona scuola”. E così, qualche giorno fa, come un maestrino, lavagna e gessetto alla mano, ancora una volta si è autocelebrato, spiegandoci quali sono i 5 pilastri della sua “rivoluzionaria riforma”.

Il video dura “solo” (aveva chiesto 4 minuti di attenzione) 17 minuti e 40 secondi ma non è un buona cosa, tutt'altro, è un altro segnale che - in barba alle proteste di piazza che hanno coinvolto insegnanti, operatori della scuola, studenti e genitori, non tutti necessariamente lì perché sindacalizzati - si andrà avanti. Infatti, in Parlamento sono già iniziate le votazioni e per oggi si prevede il varo della legge.

Avevamo scritto, con due articoli apprsi sul Foglietto del 7 e del 14 ottobre 2014, della proposta la “Buona scuola”, quando venne annunciata dal governo. Poi si è aperta una consultazione nel paese che ricorda quelle che avvengono nelle città quando si vuol far digerire ai cittadini qualche progetto devastante per il territorio: tante slide, dibattiti pilotati, la promessa di risarcimenti in termini di servizi al territorio (che poi non vengono mai realizzati) e alla fine magari pure un rinfreschino offerto dal costruttore.

In questo caso, quando sul territorio v'era del dissenso organizzato, si è provveduto prontamente a reprimerlo, anche con la forza pubblica.

Sia come sia, leggiamo dal sito del governo che i dibattiti promossi dal Miur si sono svolti in un tour di 40 tappe, mentre quelli organizzati dai cittadini sono stati oltre 2.000 in tutto il paese, per un totale di 200.000 partecipanti; 207.000, invece, hanno partecipato on line; 1.300.000 sono stati gli accessi al sito. Appena in 5mila hanno inviato e-mail, il che la dice lunga su quanto si reputino possibili dei cambiamenti alla norma.

Davvero un po' poco, per una platea di oltre 8.900.000 studenti e 800.000 insegnanti, senza contare il personale che a vario titolo lavora nelle 44.704 scuole pubbliche italiane (dati Istat 2011) distribuite negli 8.047 comuni italiani.

Ma la modestia si sa non è virtù del nostro e così con un video messaggio del 5 gennaio 2015, il Presidente del Consiglio Renzi aveva già  tenuto a sottolineare che la “campagna d'ascolto”, udite udite, è stata giudicata dalle istituzioni europee la più grande mai fatta a livello continentale!

Chissà perché! Proprio questi elogi ci dovrebbero allarmare.

Ma veniamo all'ultima “lezione” in cui il premier ci spiega quali sono i «punti» grazie ai quali con la sua «riforma, anzi no non chiamiamola riforma, potremo diventare una superpotenza culturale» (sic!): l'alternanza scuola/lavoro, ossia alternare periodi a scuola ad altri nelle aziende. Nulla di nuovo: era un vecchio pallino della “riforma” Moratti. Un modo come un altro per fornire forza lavoro gratis alle imprese, senza alcuna tutela, alcuna assicurazione per gli studenti. Una pratica che è già in atto negli istituti di formazione professionale e che ha trasmesso ben poche conoscenze aggiuntive ai discenti mentre ha consentito alle imprese di poter usufruire gratis di forza lavoro totalmente accondiscendente, nella speranza di una futura assunzione.

Non è un caso che l'alternanza scuola/lavoro sia il primo punto per Renzi e che la riforma della scuola arrivi subito dopo il Jobs Act. Il premier, tanto per cambiare, cita Germania, Svizzera e Austria, ma si guarda bene dal dire che in quei paesi gli stagisti sono assicurati e ben remunerati (circa 800 euro al mese) e che vi è una verifica delle competenze acquisite. Né ci ha detto che poi quei ragazzi, quasi sempre, vengono assunti dalle stesse imprese, così come non ci ha detto che i percorsi formativi, non lavorativi, riguardano tutte le scuole. Invece, ci ricorda che la disoccupazione giovanile nel nostro paese negli ultimi anni ha superato il 40%, guardandosi bene dal riflettere che dopo la riforma Fornero il fenomeno ha avuto un'impennata.

Il secondo punto è la cultura umanista (sic!) ecco perché ci saranno più ore di storia dell'arte, di musica  e disegno «per formare i cittadini». Ma non eravamo tanto deboli nelle materie scientifiche da dover temere la concorrenza dei laureati asiatici, in special modo indiani e cinesi, che risultano i primi per competenze matematiche e scientifiche? Non sarà che lo studio delle materie scientifiche stimola troppo il senso critico?

Terzo punto, e qui tenetevi forte, più soldi agli insegnati: 500 euro annui, affinché possano comprarsi libri, andare a teatro o al cinema per investire in cultura. A questi, si sommeranno 200 milioni che andranno ai più bravi selezionati, o meglio, premiati da un Comitato di valutazione, composto da due docenti scelti dal consiglio d’istituto e da genitori, anch’essi individuati dal consiglio d’istituto. Tutti nominati, nessuno eletto. Ma gli “scatti di merito” non erano stati bocciati dal 60% dei consultati?

Forse qualcuno degli esperti di comunicazione di Palazzo Chigi doveva segnalare al premier che in sette anni di blocco dei contratti il potere d'acquisto perso dalle retribuzioni degli insegnanti è di oltre il 16%, pari ad un importo che oscilla dai 200 ai 300 euro mensili, a seconda dell'anzianità, e che un insegnante che deve vivere con 1.300 euro con quei 40 euro mensili dovrà fare ben altro. E a proposito di Germania, lo sa Renzi che lì la retribuzione mensile di un'insegnante, come di tutti i dipendenti pubblici, sfiora i 4.000 euro?

Ma, il nostro aggiunge che «gli insegnanti hanno perso una parte dell'autorevolezza sociale che avevano ... il prestigio sociale è venuto meno» a causa «di noi genitori». E questo, in parte, è vero. Molti idealizzano il futuro e le capacità dei propri figli (quasi sempre unici) riversando su di essi la speranza che possano realizzare quanto loro non sono stati in grado di fare e per questo, dinanzi a un insegnante che li riporta alla realtà, scatenano tutte le proprie frustrazioni.

Ma è pur tuttavia vero che talvolta le frustrazioni e i problemi è l'insegnante che se li porta appresso e li scarica sugli allievi. Quali sono, allora, gli strumenti posti in essere dalla riforma per risolvere questi problemi? Ci sono organismi terzi a giudicare e a mediare? Ci sono psicologi a disposizione o altri operatori? No. I presidi sicuramente non sono e non saranno i soggetti più adatti. La scuola troppo spesso si è chiusa a riccio in questi casi, con spirito corporativo, perdendo così autorevolezza.

Il quarto punto è: “Autonomia”. Del solo preside, naturalmente, anche se non lo dice chiaramente; precisa, invece, che «non tutti i territori hanno le stesse esigenze». Come dire, che si terrà in piedi quello iato per cui da una regione all'altra vi sono forti differenze di qualità, che ogni anno strumentalmente ci ricordano in occasione della pubblicazione dei risultati dei test Invalsi. Test uguali per tutti, che non tengono in alcun conto le diverse situazioni economiche, sociali, culturali che vi sono da una scuola all'altra e tra un territorio e l'altro.

Questo provvedimento non dà alcuna risposta all'esigenza che vi sia una legge quadro nazionale sul diritto allo studio. Una legge che dia pari diritti e servizi a tutti gli studenti. Ma, soprattutto, non affronta i problemi nati proprio con l'autonomia scolastica e con i dirigenti manager, quando si è perso lo spirito comunitario che regnava quando il preside era primus inter pares.

Il quinto punto è: “Continuità”, «assumendo più persone con il cosiddetto organico funzionale, la scuola italiana funzionerà con una stabilità educativa», come se, arrivando in classe, anziché il supplente, il docente della classe accanto ci possa essere continuità educativa. Ma Renzi non ci dice che gli assunti saranno 100mila su 300mila.

Dulcis in fundo, il premier annuncia una circolare ai ministri coinvolti, con la quale stanzierà 4 miliardi per l'edilizia scolastica (sic!).

Pochi ricorderanno che il giorno della fiducia in Parlamento, Renzi aveva promesso che alla scuola sarebbero andati 3,5 miliardi di euro, poi divenuti 2,2 per finire a 550 milioni entro la fine del 2014, oltre ai fondi provenienti dallo sblocco del patto di stabilità.

Il piano si divideva in tre parti: “scuole belle”, ovvero lavori di semplice manutenzione iniziati a fine luglio 2014 (150 milioni di euro, per 7.700 strutture); “scuole sicure”, la messa in sicurezza degli edifici, che sarebbe dovuta partire dal 2015 (400 milioni di euro, per 2.400 interventi); infine, “scuole nuove”, la costruzione di nuove strutture (400 cantieri, per 122 milioni di euro, che sarebbero arrivati dallo sblocco del patto di stabilità, non prima del 2015).

Ad oggi, il 32,5% degli edifici scolastici necessita di interventi urgenti di manutenzione, il 58% è stato costruito prima della normativa antisismica, appena il 53% possiede il certificato di agibilità e il 58,1% una certificazione igienico sanitaria.

Comunque, 4 miliardi per 44.704 scuole in queste condizioni sono ben poca cosa. Così come 120 milioni sull’innovazione digitale e didattica sono appena 2.800 euro per plesso.

Forse sarebbe meglio recuperare risorse, cominciando dalla chiusura di un ente inutile come l'Invalsi, riutilizzando quel personale per fare formazione agli insegnanti, oppure cancellando tanti corsi di formazione per gli insegnanti niente affatto qualificanti e progetti, altrettanto vacui, rivolti agli studenti.

Una riforma della scuola che riporti nelle aule quel 18% di “dispersi”, quei 4milioni di Neet e renda cittadini gli 809.000 che per legge tali ancora non sono, deve: rivedere la didattica, garantire effettivamente il diritto allo studio, anziché far crescere il divario a suon di 5 per mille e di detrazioni fiscali; stanziare risorse importanti e realmente disponibili per educare a diventare cittadini.

Tutto questo nella “riforma” approntata dal governo Renzi non c'è o è rimandato a ben 13 decreti delegati, sui quali c'è il buio assoluto.

Che dire: anziché il maestro Renzi, ridateci il Maestro Manzi: lui sì che aveva le idee chiare sulla scuola!

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