Anche quest’anno le cose non procedono come previsto (o auspicato) e il Governo, con la Nota di aggiornamento, ha dovuto rivedere al ribasso le stime per il 2016 inizialmente proposte con il Def della scorsa primavera.
La crescita - sempre che il Pil del secondo semestre non riservi qualche brutta sorpresa - sarà dello 0,8% anziché dell’1,2%, pur continuando a persistere condizioni esterne tutte abbastanza favorevoli (prezzo del petrolio, cambio euro/dollaro, tassi di interesse prossimi a zero), a parte il rallentamento del commercio internazionale che frena le esportazioni.
Le misure di politica fiscale del governo Renzi, a partire dalla riforma del mercato del lavoro, non hanno dato i frutti sperati e la scarsa perfomance dell’economia italiana, che continua a crescere meno dei principali partner europei, si riflette inevitabilmente sugli indicatori di finanza pubblica.
L’indebitamento nominale passa da 39,3 miliardi di euro (2,3% del Pil) a 40,8 miliardi di euro (2,4% abbondante, praticamente 2,5%), con una riduzione sia delle uscite (-1,7 miliardi), che delle entrate (-3,2 miliardi). Rispetto a quanto inizialmente previsto, lo Stato risparmierà circa 1 miliardo sugli stipendi dei pubblici dipendenti, a causa del mancato rinnovo dei contratti (stranamente, però, la cifra non viene recuperata negli anni successivi). Anche le pensioni costeranno quest’anno 500 milioni di euro in meno e altrettanti saranno risparmiati sulla spesa per interessi, mentre le spese in conto capitale si riducono di 2 miliardi (di cui uno in meno per gli investimenti). Crescono, invece, di 2,3 miliardi i consumi intermedi e le altre spese correnti, segno evidente del fallimento delle politiche di spending review. Dal lato delle entrate le imposte sono in flessione di 500 milioni di euro rispetto allo scorso anno, anche se le statistiche tributarie del Dipartimento delle Finanze continuano a registrare per il 2016 un trend in aumento.
Sull’indebitamento strutturale, continua a pesare la diversa valutazione del Pil potenziale – e di conseguenza dell’output gap rispetto al Pil reale – tra la Commissione europea e il Governo italiano. Secondo quest’ultimo la fase recessiva ancora peserebbe in misura consistente e l’indebitamento strutturale (al netto della componente ciclica) sarebbe di -1,2%, mezzo punto in meno della stima ufficiale di Bruxelles. Rispetto allo scorso anno l’indebitamento strutturale – che dovrebbe convergere a zero per il noto vincolo del pareggio di bilancio - è, comunque, peggiorato di 0,5% (anziché migliorare di 0,5% come previsto dall’obiettivo di medio termine MTO), andando oltre il margine di flessibilità concordato in sede europea.
Altra nota dolente è il debito pubblico che, per la prima volta quest’anno, doveva diminuire (in rapporto al Pil), ma che, invece, crescerà da 132,3% a 132,8%. Il punto di svolta è stato rimandato al 2017, ma il ritmo di discesa è troppo lento per soddisfare la ‘regola del debito’ prevista nel Fiscal Compact e nel 2019 il rapporto debito/Pil sarà superiore di 1,8 punti di Pil rispetto all’obiettivo (circa 33 miliardi di euro). In termini assoluti, il debito pubblico aumenterà quest’anno di 7 miliardi di euro in più del previsto, arrivando a quota 2.220 miliardi, 48 in più del 2015. Anche negli anni successivi la sua crescita non si arresterà giungendo a 2.290 miliardi nel 2019.
Se questo è il quadro attuale di riferimento, si può ben capire quanto possa essere ardua la partita del Governo italiano per convincere la Commissione europea a concedere una maggiore flessibilità per il 2017, che si traduce in maggior deficit e debito a carico delle generazioni future.
Previsioni dei principali indicatori macroeconomici e di finanza pubblica – Nota di aggiornamento al Def (quadro programmatico) e Spring Forecast. Anni 2016-2017 (valori percentuali)
Evoluzione del debito pubblico - Nota Def 2015 (quadro programmatico), Def 2016, Nota def 2016 (quadro programmatico) e Spring Forecast. Anni 2014-2019 (valori percentuali rispetto al Pil)
Fonte: Ministero Economia e Finanze e Commissione europea
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