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Mercoledì, 03 Lug 2024

ue contributi italia 1Il 21 dicembre 2017, la Sezione di controllo per gli affari comunitari e internazionali della Corte dei conti ha trasmesso al Parlamento la Relazione sui rapporti finanziari tra l’Italia e l’Unione europea per l'anno 2016.

Si tratta di un documento corposo (331 pagine), ricco di numeri assai significativi, che analizza i flussi finanziari in entrata e in uscita e le tipologie di risorse che hanno alimentato il bilancio europeo, e valuta l’utilizzo dei Fondi destinati alla Politica di coesione (con specifico riferimento alla chiusura del ciclo di Programmazione 2007-2013 e alle prime risultanze del nuovo ciclo) e alla Politica agricola comune.

Assai interessante risulta, poi, la parte riservata al monitoraggio dell’efficacia dei controlli in tema di frodi e irregolarità.

In questa sede, ci soffermeremo, in particolare, su quanto scritto dai giudici contabili nella Relazione in merito ai rapporti finanziari tra l’Italia e l'Unione europea.

L’analisi dei flussi finanziari intercorsi tra Italia e UE nell’esercizio 2016 – si legge nel documento – ha visto diminuire l’apporto italiano al finanziamento del bilancio dell’Unione: 15,7 miliardi, che corrispondono a una flessione del 4,7% rispetto al 2015, e rappresentano l’11,3% del totale dei versamenti effettuati dagli Stati membri.

Tale risultato è determinato in misura diversa dalle tre fonti che compongono il sistema delle risorse proprie: la risorsa basata sul RNL (Reddito Nazionale Lordo) è diminuita del 7,3%, laddove le risorse proprie tradizionali (dazi doganali e contributi sulla produzione dello zucchero) e la risorsa basata sull’IVA sono cresciute rispettivamente del 5,9% e del 19,5% in confronto all’esercizio precedente.

Complessivamente, le risorse RNL e IVA raggiungono quasi l’80% del totale dei versamenti a carico dell’Italia, confermando, anche per il nostro Paese, la circostanza che il bilancio generale europeo è attualmente finanziato in massima parte da contribuzioni nazionali, mentre le risorse direttamente riferibili ad un potere di imposizione europeo (le risorse proprie tradizionali) hanno un’incidenza molto più limitata.

Anche sul versante delle somme accreditate all’Italia per l'attuazione delle Politiche europee – secondo quanto riportato nella Relazione – si è registrato un decremento rispetto al precedente esercizio (da 12,07 miliardi a 11,3, miliardi pari a -6%), frutto di un minor assorbimento di risorse dai Fondi europei dopo l’accelerazione di spesa dell’anno 2015, ultimo del ciclo di Programmazione 2007-2013, e pertanto fortemente condizionato dalle esigenze di pagamento della fase conclusiva.

Ne è risultata – sottolineano i giudici - una sostanziale invarianza della posizione di contributore netto (propria degli Stati membri che ottengono assegnazioni di entità inferiore rispetto alle contribuzioni che versano al bilancio comunitario), nella quale il nostro Paese si trova da molti anni. Il contributo netto dell’Italia in valore assoluto è stato pari a 4,4 miliardi nel 2016 (valore analogo a quello del 2015).

L’ammontare complessivo dei saldi nel settennio 2010-2016 evidenzia, infatti, un risultato negativo di 37,7 miliardi, che colloca l’Italia al quarto posto (dopo Germania, Regno Unito e Francia) nella classifica dei Paesi che hanno versato più di quanto hanno avuto in termini di assegnazione di fondi comunitari.

Dalla Relazione emerge, inoltre, che sul piano delle conseguenze finanziarie a carico del bilancio nazionale continuano a destare preoccupazione, anche nel 2016, i dati relativi alle procedure di infrazione aperte contro l'Italia per violazione della normativa europea, in particolare per quanto concerne il recepimento non corretto di direttive e il recupero degli aiuti di Stato illegittimi. A carico dell’Italia si registrano anche “seconde condanne” per mancata ottemperanza alle statuizioni di una prima sentenza della Corte di Giustizia; esse trascinano con sé un seguito di ingenti penali, di importo indefinito, in quanto destinate a protrarsi finché non sarà data esecuzione al giudicato.

Ci consola, infine, il dato delle procedure pendenti per mancata trasposizione delle direttive, che, anche per effetto della legge di delegazione europea, sono ormai in numero inferiore a quelle degli altri Paesi.

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