Gigi Proietti è stato un grande attore romano e romanesco e proprio per questo universale, come Sordi e Petrolini, che lui amava tanto. Oggi i mass media lo ricorderanno e ne ricorderanno le performance teatrali, cinematografiche e tanti aneddoti della sua intensa vita di uomo colto e dello spettacolo. Era anche un compagno.
Cinque anni fa lo confermò in un’intervista a L’Espresso: “Mio padre era iscritto, io non ho mai preso la tessera. Però, sì, ero comunista e nonostante tutte le critiche che si potevano fare, per esempio sul centralismo democratico, c’era del buono”.
Prima, all’intervistatrice Stefania Rossini che gli aveva chiesto per chi votasse, aveva risposto: “Per il Pci”. “Ma non c’è più!”, obiettò la Rossini. “Appunto”, rispose con ironia Proietti.
Non aveva un buon giudizio sulla politica del Pd. Infatti, aggiunse: “Ho sperato nell’Ulivo che doveva mettere insieme le parti più virtuose dell’area socialista e di quella cattolica. Invece si sono contaminate a vicenda. Ora non c’è niente. Spero in un’illuminazione”.
E di Renzi, allora leader in auge, disse: “Non lo conosco. Lo vedo in tv e, come tutti i bravi comunicatori, ogni tanto mi sembra che mi convinca. Poi non so se è lui che molla me o io che mollo lui. Ci sono delle pause tra noi”. Pause che probabilmente divennero permanenti.
Il mio ricordo di Proietti è un tardo pomeriggio di settembre del 1974, a Largo Spartaco. Lo trovai seduto al bar in attesa di salire sul palco della Festa de l’Unità, organizzata dai compagni della sezione Nuova Tuscolana. Ero andato a cercarlo per convincerlo a partecipare anche alla Festa di qualche settimana dopo organizzata dalla sezione del Pci di Cinecittà.
Passammo un’oretta a discutere. Ricordo che parlammo anche del movimento di tanti artisti progressisti, che allora andavano nelle periferie, chiamati dalle sezioni comuniste a sperimentare un teatro popolare fatto insieme al popolo. Mi accennò alle riunioni della Commissione culturale nazionale del Pci, dove spesso veniva invitato insieme a tanti altri attori, autori e registi per discutere i problemi di quel mondo e anche delle tendenze artistiche del momento. Alla fine, la sua conclusione su tutto quel sommovimento culturale era che, comunque, l’attore “Deve da esse bravo”.
Poi salì sul palco, cantò alcune canzoni, alcune tratte dal film “La Tosca”, dove aveva interpretato “Cavaradossi”; fece qualche battuta, mandando in visibilio la grande folla che lo ascoltava. Ricordo una cosa curiosa. La gente gli chiedeva di dire le barzellette e lui rispondeva, sinceramente credo, che non le sapeva. Poi divenne un maestro anche in questo.
Alla fine, scese dal palco e lo ricordo ancora mentre si districava dagli abbracci popolari e scappava verso la sua macchina e i tanti successi che avrebbero segnato la sua esistenza di grande attore.
Ciao “Giggi”.
Aldo Pirone
Coautore del libro "Roma '43-44. L'alba della Resistenza"
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