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Mercoledì, 18 Giu 2025

Il ricordo delle "Quattro giornate" di Napoli, tratto dal mio libro "I cinque anni che sconvolsero l'Italia. La rivoluzione democratica 1943-1948".

NAPOLI INSORGE. La ribellione antitedesca dell’autunno non si manifesta solo al Centro-nord. Al Sud, dopo Matera e Rionero in Vulture, insorge Napoli. La capitale del Sud è straziata dalla guerra e dalla fame. Dall’inizio del conflitto ha subìto più di cento bombardamenti, fra strategici – miranti alle installazioni industriali, portuali e militari – e a tappeto sull’intera città, con migliaia di morti tra gli abitanti. Centinaia di palazzi sono distrutti, gli sfollati sono una moltitudine.

Come se tutto ciò non bastasse, il 28 marzo del ’43 era esplosa una nave nel porto, la Caterina Costa, carica di materiale bellico, bombe e benzina. Rottami incendiari erano piovuti sulla città: circa 600 i morti. Per difendersi dalle incursioni aeree una parte grande dei napoletani vive sotto terra, nelle gallerie e nei cunicoli di cui è ricco il sottosuolo di Napoli, nelle stazioni della funicolare, nei tunnel cittadini. La razione di pane è stata portata a 50 grammi; e non tutti i giorni è disponibile. Elettricità e gas non vengono più erogati, le reti sono state distrutte dai bombardamenti, così è per l’acqua. Le fontanelle sono l’unico approvvigionamento e le donne fanno file estenuanti con i fiaschi e le bacinelle d’alluminio. È in gioco la sopravvivenza della città e dei suoi abitanti.

L’8 settembre ci sono stati numerosi episodi di resistenza ai tedeschi, di militari uniti ai civili. La città aspetta con impazienza gli Alleati che da Salerno si stanno lentamente avvicinando.

Su questa brace ardente il comandante tedesco, colonnello Walter Scholl, versa benzina. Indìce lo stato d’assedio e il coprifuoco dalle 20.00 alle 6.00. Inscena fucilazioni di militari italiani costringendo la popolazione ad assistervi e ad applaudire. Proclama che chiunque «agisca apertamente o subdolamente contro le forze armate germaniche sarà passato per le armi» e che «ogni soldato germanico ferito o trucidato verrà rivendicato cento volte».

Intanto, i nazisti procedono al saccheggio della città distruggono gli impianti industriali di Bagnoli, il palazzo dei Telefoni, il gazometro e le strutture portuali in vista della loro ritirata. Danno fuoco anche all’Università Federico II e a quel che resta dell’Archivio di Napoli e alla preziosa Cancelleria angioina a San Paolo Bel Sito, nel Nolano.

Non sono obiettivi militari ma solo uno sfogo bestiale per punire i “traditori” italiani.

Le gocce che fanno traboccare il vaso della rivolta spontanea sono due ordinanze che Scholl emana il 23 settembre: l’evacuazione di tutte le abitazioni prospicienti il porto per una distanza di 300 metri dal mare e il bando di lavoro coatto per tutti i maschi tra i 15 e i 60 anni.

All’improvviso iniziano, da una parte, i rastrellamenti indiscriminati di uomini nelle strade e nei vicoli e dall’altra circa 250 mila persone si trovano senza casa a vagare per la città cercando un rifugio di fortuna. Colonne e colonne di gente con le povere masserizie su carretti, carrettini, biciclette, carrozzine – le donne portano i grandi fagotti sulla testa – sfilano verso l’entroterra. In tutti i quartieri di Napoli si accendono, senza coordinamento alcuno, focolai di rivolta armata. Nei quartieri popolari la gente comincia a sparare sui nazisti e ad aggredirli nei vicoli, rovesciando su di loro giù dalle finestre tutto quel che ha a disposizione. La rivolta è corale. Cittadini ed ex militari, donne e uomini di tutte le età e condizioni sociale, gli “scugnizzi”, come erano chiamati i ragazzini napoletani, e anche i “femminielli”, i transessuali partenopei. Le donne vi hanno un posto determinante. In quattro giorni di furiosi combattimenti i napoletani cacciano i nazisti dalla città. Gli Alleati arrivano il 1° ottobre e la trovano libera. Napoli è la prima grande città europea che insorge e si libera dai nazifascisti.

La sua insurrezione ebbe, al di là del peso militare, un significato profondo per tutto il Paese che iniziava con fatica e sofferenza a organizzare la resistenza all’occupante nazifascista. L’insegnamento era che alla fine si sarebbe dovuto e potuto insorgere.

«Dopo Napoli la parola d’ordine dell’insurrezione finale acquistò un senso e un valore e fu allora la direttiva di marcia per la parte più audace della Resistenza italiana», Cfr. L. Longo, Un popolo alla macchia, Editori Riuniti, Roma 1974, p. 102.

Aldo Pirone
scrittore e editorialista
facebook.com/aldo.pirone.7

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