Era atteso da molti il piano Draghi che la Commissione europea di von der Leyen gli aveva commissionato lo scorso anno. Ora è arrivato forte di quasi 400 pagine di proposte specifiche. Penso che rappresenti bene gli orientamenti di una parte, credo minoritaria, del capitalismo europeo di natura liberale e liberista.
La sostanza di questo piano, non a caso finalizzato alla "competitività" economica europea, chiede un salto di qualità verso l'integrazione alla Ue sia sul piano delle politiche economiche (il debito comune tramite l'emissione di eurobond sulla falsariga del Next generation Eu) che su quello degli strumenti istituzionali (estensione del voto a a maggioranza qualificata e il ricorso alle cosiddette "coalizioni di volenterosi" per superare i veti nazionali e nazionalistici).
Lo sforzo economico che chiede per "superare la lenta agonia" dell'Europa e il suo essere un "vaso di coccio fra vasi di ferro" di Russia, Stati Uniti e Cina, è poderoso: 800 miliardi l'anno, il doppio, a detta dello stesso Draghi, del "Piano Marshall". Anche per potenziare gli armamenti per una Difesa comune europea.
Non è mia intenzione fare un esame dettagliato delle proposte contenute nel piano, fra cui quelle per l'ambiente, il clima e la digitalizzazione, 400 pagine sono lunghe da leggere, limito ad alcune osservazioni politiche preliminari.
Non va sicuramente bene la perorazione di rafforzare gli investimenti militari. La Difesa comune europea avrebbe bisogno, per diventare qualcosa sul piano mondiale, di unificazione della produzione militare non di aumenti negli investimenti. Oltre che essere traguardata fattivamente a una politica di pace e di coesistenza nutrita di cooperazione. Ovvero di superamento dell'ultra atlantismo.
Il piano di Draghi non piace certamente ai sovranisti di tutte le specie e mette in crisi di coscienza gli establishment variamente moderati nei paesi europei. Fra essi i paesi cosiddetti "frugali" del nord Europa: Olanda, Austria, Svezia, Danimarca, Finlandia, capofila la Germania, indipendentemente dal colore dei loro governi, recisamente contrari a ogni sorta di debito comune.
Dagli establishment politici dei paesi finora "più europeisti", Draghi può sentirsi rispondere al massimo con flebili "non possumus". La stessa von der Leyen, per esempio, appare piuttosto imbarazzata da queste proposte di Draghi e non a caso la Meloni sovranista che invita Draghi a Palazzo Chigi per discuterne è perché, tutto sommato, le ritiene inoffensive sul piano immediatamente politico.
Il fatto è che non si possono perseguire politiche antitetiche in patria, come fa Macron in Francia e Sholz in Germania, e poi perseguire politiche europeiste anti sovraniste.
Visto il risultato complessivo delle elezioni europee e di quel che sta avvenendo in paesi come la Francia e la Germania e nella complessiva sinistra europea, sia antagonista che socialdemocratica, è molto probabile che il piano Draghi si riveli una sorta di canto del cigno liberale e liberista. Non a caso Gentiloni - moderato ex margheritino rimasto tale, assai diverso da Rosy Bindi - ha mestamente osservato "Mi auguro che il rapporto non finisca in un cassetto". Il che, detto da lui, appare già un "de profundis".
Ha ragione Fratoianni a dire che "non sarà Draghi a scrivere il programma del centrosinistra" in Italia, ma qui la partita non è italiana, è europea ed è tutta la sinistra del "vecchio continente" - sia quella antagonista in The Left che quella di ispirazione socialdemocratica in S&D - che dovrebbe, se ci riesce, presentare una sorta di contropiano a quello di Draghi che sia di sfida sul terreno del fare sostanziali passi in avanti all'Ue verso un'integrazione sovranazionale. Anzi, avrebbe già dovuto convergere da tempo sulle cose da proporre unitariamente dando ad esse un solido fondamento solidaristico e sociale attraverso proposte economiche neo keynesiane.
Invece si è rimasti, sostanzialmente, agli slogan dei manifesti preelettorali come quello, per esempio, dei socialisti europei (Pse). Segno di una certa subalternità al nazionalismo crescente che sta mettendo in crisi l'asse franco-tedesco.
Secondo Andrea Carugati, de il manifesto, il piano Draghi, come fu la sua famosa Agenda di cui s'innamorò Letta segretario dei democratici spianando la strada del governo alla Meloni, ha sollevato i peana acritici di una parte del Pd. C'era da aspettarselo. Il virus della subalternità gira da tempo fra i dem e in alcuni esponenti è congenito, e non solo in quelli ex renziani.
Come dice Rosy Bindi: una sorta di long Covid.
Aldo Pirone
scrittore e editorialista
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