Con quello ultimo sulla cittadinanza, i referendum promossi dal variegato fronte progressista diventano sei. I quattro della Cgil sul lavoro, fra cui spicca quello sull'abolizione del jobs act di renziana memoria, più quello contro l'autonomia differenziata e, appunto, quello sulla cittadinanza.
Nel promuovere i referendum si è manifestata la solita frammentazione del cosiddetto "campo largo" lungi dal diventare "campo dell'alternativa". Adesione convinta a quelli promossi dalla Cgil di Avs, M5s della maggioranza Pd della segretaria Schlein. Variamente contrari e incerti gli ex renziani dem o anguilleggianti come il Presidente Bonaccini. Contraria naturalmente la renziana Iv. Tutti d'accordo su quello contro l'autonomia differenziata, mentre quello sulla cittadinanza promosso da +Europa, con Riccardo Magi animatore, Possibile, Radicali Italiani, Partito Socialista Italiano, Rifondazione Comunista nonché dalle associazioni Libera, Gruppo Abele, A Buon Diritto, Arci, ActionAid, OxfamItalia, Cittadinanza Attiva, Open Arms, ha avuto singole adesioni dalla Schlein, da Fratoianni e Bonelli. Conte non lo ha firmato e Calenda non ne ha sostenuto nessuno dicendosi contro la strategia referendaria in sé.
I referendum dovranno dapprima superare l'esame di ammissibilità della Corte costituzionale per poi essere indetti per la primavera prossima del 2025. Sempre che il governo di destra della Meloni decida di raggrupparli in un unica tornata referendaria, visto che quello sull'autonomia differenziata sembra essere il più a portata di quorum e potrebbe farsi trascinatore degli altri.
A proposito di cittadinanza, il governo che ne varò il raddoppio da 5 a 10 anni per averla da parte di immigrati regolari, oggi così caro alla Meloni, fu quello di Amato, allora craxiano, del 1992 che nel panorama politico della prima Repubblica era di pentapartito, non assomigliava per niente all'originario centro-sinistra e nemmeno a quello della seconda Repubblica. Sembra difficile se non impossibile definirlo "progressista" come fa qualche giornalista commentatore e rappresentante politico non solo di destra. Per dire che l'ignoranza interessata oltre a quella reale è la cifra dell'oggi. Per la cronaca il Pds e Rifondazione comunista figliati da poco dal Pci votarono contro.
Per il fronte dei referendari portare a votare 26 milioni di italiani, di cui 4 all'estero, non sarà uno uno scherzo. Riuscì nel 2011 sull'onda del referendum sull'acqua pubblica, cui si unì quello sul nucleare e il legittimo impedimento a comparire in udienza per il presidente del Consiglio, cioè Berlusconi, e ministri. Ma l'aria stava cambiando, quei referendum per altro ne furono un segno, e a novembre il Cavaliere sarebbe caduto dopo averne fatte di cotte e di crude. Il suo Pdl, per dire, fiutando l'aria lasciò libertà di voto ai propri elettori anche sul quesito che coinvolgeva direttamente Berlusconi.
Certamente celebrare la meta delle cinquecentomila firme per promuovere i referendum è più che giusto. Ma poi bisogna arrivare al profondo dell'elettorato popolare per portare a votare più di 26 milioni di elettori in un epoca di forte astensionismo elettorale soprattutto fra i ceti popolari, altrimenti il contraccolpo politico sarà inevitabile.
Bisogna che il variegato fronte progressista abbia chiaro la sforzo a cui è chiamato, tanto più se si considera che il ceto politico di sinistra ha accumulato nel tempo così tanta ruggine nel rapporto con le masse popolari che rimuoverla non sarà una passeggiata.
Ai radicali può bastare il raggiungimento delle firme necessarie per il referendum sulla cittadinanza per gridare vittoria, ai progressisti e dalla malmessa sinistra no.
Aldo Pirone
scrittore e editorialista
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