Adesso che gli economisti del Fondo monetario inernazionale (Fmi) ci fanno notare per l’ennesima volta che la ricchezza netta delle famiglie europee è parecchio concentrata nel 10 per cento della popolazione c’è da aspettarsi le solite intemerate. Come se il problema si esaurisse nella titolarità della ricchezza e non avesse a che fare anche sul suo utilizzo. Una società fortemente diseguale come quella britannica del XIX secolo finanziò lo sviluppo della ferrovie in mezzo mondo avviando una straordinaria crescita internazionale. La domanda è: cosa ci facciamo noi europei con questa ricchezza?
Per il momento sembra che ci piaccia molto contemplarla, e magari prestarla all’estero. Quanto al primo punto, lo studio del Fmi, che si basa sulle rilevazioni del sistema della banche centrali europee, riporta che la ricchezza netta dell’area euro è aumentata del 27% negli ultimi cinque anni. Quest’aumento si è accompagnato a una lieve diminuzione della diseguaglianza, generata in parte dall’aumento del prezzo delle abitazioni, che ha beneficiato anche i piccoli proprietari.
Rimangono, ovviamente, grandi differenze. Il 10 per cento più ricco della popolazione detiene il 56% della ricchezza, nel quarto trimestre del 2023, mentre la metà più povera ne possiede solo il 5%. L’eurozona non è neanche quella messa peggio. Secondo quanto riporta il World Inequality Lab, nel mondo il 10% più ricco della popolazione detiene i tre quarti della ricchezza globale.
Quanto al secondo punto, ossia la vocazione degli europei a prestare all’estero i propri soldi, basta rilevare gli ultimi dati della bilancia dei pagamenti. Gli ultimi dati diffusi dalla Bce, relativi a settembre 2024, mostrano un saldo corrente positivo per 37 miliardi nel mese, che su base annua arriva a a 428 miliardi, pari al 2,8% del pil dell’eurozona, in crescita dai 182 miliardi dell’anno precedente.
Il conto finanziario mostrava che i residenti dell’area hanno effettuato investimenti di portafoglio in asset non euro pari a 551 miliardi, poco meno degli investimenti di portafoglio denominati in euro, considerati sempre su base annua, pari a 686 miliardi.
Dal grafico sopra si osserva peraltro che le acquisizioni di asset finanziari non denominati in euro è cresciuta massicciamente proprio a partire da quest’anno riportandosi a livelli che non si vedevano da tempo.
Di fronte a queste cifre, che raccontano di una grande ricchezza che viene investita altrove, a fronte di una domanda interna incapace di esprimere dinamicità, che certo dipende anche da come questa ricchezza è distribuita, viene fuori l’immagine di un’Europa di redditieri che non ha più neanche la lungimiranza di progettare il proprio futuro, forse perché senescente. E forse il problema è proprio questo: l’Europa vuole invecchiare in pace e tranquillità. L’ideale in un mondo pieno di conflitti!
Maurizio Sgroi
giornalista socioeconomico
autore del libro “La storia della ricchezza”
coautore del libro “Il ritmo della libertà”