Durante la pandemia avevamo sperato nella nascita di una Unione europea che tornasse ai suoi primordi, una Unione dei e per i popoli, anziché l’Europa che abbiamo visto all’opera nei periodi di recessione economica, attenta a salvaguardare i capitali piuttosto che i cittadini in difficoltà.
Una Unione memore del Preambolo della Carta dei Diritti Fondamentali dell'Unione Europea: «I popoli d'Europa, nel creare tra loro un'unione sempre più stretta, hanno deciso di condividere un futuro di pace fondato su valori comuni».
Grazie alla tenacia e alle capacità di mediazione dell’allora premier italiano, Giuseppe Conte, non solo furono allentati i vincoli di bilancio di quello scellerato Patto di Stabilità (che nel tempo ha prodotto solo instabilità e recessione) ma il 21 luglio 2020 i leader dell'UE concordarono lo stanziamento di 1.824,3 miliardi di euro (a prezzi 2018) che combinava i 1074,3 miliardi di euro del bilancio a lungo termine per il periodo 2021-2027, noto come quadro pluriennale finanziario (QFP), con il programma per la ripresa Next Generation EU (NGEU) per un'Europa più verde, più digitale e più resiliente, pari a 750 miliardi di euro.
All’Italia, che più degli altri paesi aveva subito le conseguenze del Covid, vennero destinati 191,5 mld di euro di cui 68,9 mld a fondo perduto (invero oggi molto mal spesi).
Insomma, sembrava dovesse nascere finalmente quell’Europa dei popoli, quell’Europa di nazioni unite, solidali e in pace fra loro e con il mondo intero, una Unione in cammino verso un futuro sostenibile.
Ma così non è stato.
Lo abbiamo capito fin dalla gestione degli acquisti dei vaccini le cui condizioni vennero secretate.
Si tornava all’Europa più attenta agli interessi della finanza che non ai bisogni dei cittadini, agevolata anche dalla svolta a destra dei governi dell’Unione e con essi al ritorno dei nazionalismi, sempre terreno di coltura delle guerre. Ma, al contempo, si tornava al cappio del Patto di Stabilità.
Compagini governative spesso composte da persone senza una visione, senza un progetto di sviluppo per il proprio paese, se non un progetto di crescita dei profitti per le classi dominanti, figuriamoci poi se potessero avere un programma per l’Europa.
E così, poste dinanzi ad una emergenza come la guerra - prima quella del 24 febbraio 2022, conseguente all’invasione russa dell’Ucraina e, poi, dopo il 7 ottobre 2023, alla rappresaglia genocidiaria israeliana a Gaza, che ad oggi ha provocato la morte accertata di oltre 50.700 gazawi (ma si ipotizzano fino ad altri 20.000 sotto le macerie, 30 bambini uccisi al giorno) e oltre 1000 in Cisgiordania (almeno 5 bambini al giorno) – i governi europei non sono stati capaci, o meglio, non hanno voluto, anzi hanno boicottato, quando ce ne sono state, qualsiasi iniziativa diplomatica.
L’Europa sta pagando un conto altissimo, in termini non solo economici, ma di credibilità per esser rimasta inerte dinanzi ad un quadro così grave, per aver alimentato questi conflitti inviando armi e risorse economiche, tradendo così i suoi stessi principi fondativi.
L’Europa nata per garantire, per costruire la pace, oggi è diventata l’Europa che costruisce la guerra, l’Europa che affama i suoi cittadini con una inflazione inevitabile, dato il caro delle risorse energetiche. Non c’è più traccia di quella Unione che, creando la moneta unica, mantenne la schiena dritta rispetto agli Usa che volevano conservare il predominio del dollaro nei mercati, tutt’altro, ora siamo diventati energeticamente dipendenti dagli stessi Usa; né c’è più traccia di quella Unione che stanziava fondi di coesione per le parti più deboli del continente. Ora quelle risorse andranno ad ingrassare i fondi speculativi (quasi tutti americani) che detengono ingenti pacchetti azionari di fabbriche di armi.
Se prima restavamo basiti nell’apprendere che in America la National Defense Industrial Association (NDIA) fosse determinante nelle elezioni presidenziali, ora dobbiamo abituarci all’idea anche qui, perché si stanno per investire 800mld di euro nell’acquisto di armamenti, come deciso con una semplice mozione, senza una discussione approfondita, dal Parlamento europeo e da quelli nazionali (alla faccia della democrazia).
E quel che è più grave, anche le forze politiche, cosiddette socialiste, come l’italiano Pd, hanno sostanzialmente approvato quel piano di riarmo, seppure in un balletto di astensioni e bocciature di emendamenti che non rendono meno grave la sua posizione.
800 miliardi al di fuori del Patto di Stabilità ci dicono, neanche fossero gratis, saranno 800 miliardi sottratti a sanità, istruzione, ricerca, servizi destinati ai cittadini. Un taglio che acuirà le già gravi diseguaglianze di cui soffrono i 27 popoli dell’Unione e che, in caso di nuova pandemia, produrrà altra morte. Pensate che, ad esempio, il costo di una fregata multiruolo equivale allo stipendio annuo di 10.662 medici, quello di un caccia F-35 a 3.244 posti letto in terapia intensiva, un sottomarino nucleare a 9.180 ambulanze.
800 miliardi di armi che non potranno che portare guerra e distruzione in tutto il continente.
800 miliardi che investiti nel welfare potrebbero non solo dare impulso all’economia e ridurre le disuguaglianze ma potrebbero permettere un modello di Unione concorrente a quello che sta costruendo Trump in America, dove sta distruggendo quel po’ di politiche pubbliche presenti nel paese.
L’economia di guerra non ha mai determinato sviluppo ma solo morte e distruzione, è un’economia persino ambientalmente insostenibile. Chiedetelo a quanti vivono vicino a Bussi sul Tirino, dove sorgevano le fabbriche di armi chimiche utilizzate durante le due guerre mondiali, dove l’inquinamento delle falde acquifere ancora persiste. Chiedetelo tra qualche anno agli abitanti di Anagni dove la Knds (gruppo franco-tedesco che già possiede a Colleferro un altro impianto per la produzione, il caricamento e i test per la produzione di bombe e munizioni) nei giorni scorsi ha presentato un progetto per aprire una fabbrica di nitrogelatina e polveri di lancio per proiettili ad uso militare nello stabilimento ex-Wincester (dove oggi invece si disinnescano i proiettili scaduti). Una fabbrica che avrà una estensione di 35 ettari e produrrà fino a 150 kg di nitrogelatina l’ora. Un progetto che gode, per ora, di un finanziamento europeo di 41 milioni di euro.
Dobbiamo fermare questa follia, un primo passo è stato fatto sabato scorso con una imponente manifestazione a Roma, ma ora occorre moltiplicare le mobilitazioni, sensibilizzare le persone, creare una rete pacifista europea con iniziative in ogni paese e arrivare così ad una grande manifestazione europea a Strasburgo, sede del Parlamento europeo.
Dobbiamo fermare questa follia perché un’economia di guerra riduce tutti i diritti, compreso quello al dissenso e ne abbiamo già un primo “assaggio” con il decreto sicurezza, appena approvato dal governo.
Adriana Spera