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Mercoledì, 14 Mag 2025

Cominciamo dal prezzemolo. Immaginate per un attimo che un certo numero di triestini lavorino come stagionali semiclandestini nei territori della Repubblica di Venezia e che a un certo punto il Doge, per motivi vari, decida di eliminarli. Per evitare di far fuori anche dei veneti, mette in fila tutti i lavoratori e a ciascuno chiede di pronunciare la parola “ascensore”: i veneti la pronunciano con la s come “sole” mentre i triestini la pronunciano inevitabilmente con la s come in “rosa” e vengono selezionati per l’eliminazione. Analogamente potrebbe avvenire per argentini richiesti di pronunciare “mayo”. Bene, prezzemolo in spagnolo si dice “perejil”, con la j come in “Javier”, e gli haitiani, francofoni o comunque di lingua creola, non ce la fanno a pronunciarlo correttamente; in questo modo Trujillo, dittatore della Repubblica Dominicana, nell’ottobre del 1937 fece selezionare e successivamente eliminare da 20.000 a 30.000 haitiani (o haitiani-dominicani) nella regione di Dajabon, al confine con Haiti: in pochi giorni. Motivo?

Gli haitiani sono stranieri nella nostra terra. Sono sporchi, ladri di bestiame e praticano il Voudou. La loro presenza nel territorio della Repubblica non deve portare al deterioramento della qualità della vita dei nostri cittadini

(R. Trujillo in “Come schiavi in libertà” di Raùl Zecca Castel, 2015; dal libro è stato estratto un documentario, il cui trailer si può trovare qui).
Argomenti già sentiti, anche di recente.

Trujillo, che pure aveva una nonna haitiana, riconobbe in seguito le responsabilità dominicane e accettò di pagare a Haiti un risarcimento di ben 29 dollari per ciascuna vittima.
Haiti occupa la parte occidentale (circa un terzo) dell’isola di Hispaniola: venne ceduta alla Francia dalla Spagna nel 1697, godette di una periodo fortunato e fu poi la seconda nazione americana a conquistare l’indipendenza nel 1804 (gli altri due terzi divennero indipendenti nel 1821), abolendo la schiavitù e favorendo i processi indipendentisti di altre nazioni. Ma il prezzo da pagare fu altissimo perché la Francia pretese forti indennizzi per i proprietari terrieri, e questi costi da allora pesarono enormemente sulla economia e sul debito della nazione. Nel 20° secolo l’intera isola passò sotto la sfera di influenza statunitense, con periodi di occupazione militare, fino a quanto nel 1957 gli US lasciarono il potere nelle mani del tristemente noto Duvalier e dei suoi “Tonton Macoutes”, il cui dominio passò in seguito nelle mani del figlio fino al 1986. Questo periodo vide la morte di circa 50.000 persone e il furto di diverse centinaia di milioni di dollari.

La condizione attuale di Haiti è abbastanza nota (è il paese a reddito pro-capite più basso dell’America) e si aggrava anche a causa dei terremoti e della instabilità politica. La lettura del libro citato illumina in maniera esemplare le cause della sua miseria e dell’emigrazione spesso clandestina, e le condizioni di sfruttamento integrale in cui vivono gli haitiani nella Repubblica Dominicana. Sollecitati all’emigrazione da appositi faccendieri dominicani, denominati “buscones”, vengono impiegati prevalentemente nel taglio della canna da zucchero. Vivono praticamente reclusi nei “bateyes” (villaggi chiusi all’interno dell’isola che non troverete sulle carte o su Google); sono privi di diritti e in alcuni casi anche di identità e ben nascosti alla vista delle centinaia di migliaia di turisti che affollano le spiagge.


Un batey (L’immagine proviene dal trailer del documentario citato più sopra)

Le piantagioni di canna, un tempo statali, e i circa cinquecento bateyes sono oggi di proprietà di tre grandi famiglie: una di origine dominicana, una guatemalteca e una italiana.

La vita nei bateyes è infernale, così come lo è il lavoro del taglio della canna. Il lavoratore porta la quantità di canna tagliata ogni giorno al peso, che gli viene comunicato senza che lo possa verificare (e ovviamente al ribasso). Per lavorare deve fornirsi a sue spese del machete e provvedere alla sua manutenzione. Il guadagno lo spende quasi tutto per pagarsi l’alloggio e il vitto ai gestori del batey stesso.

Essendo praticamente impossibile ottenere la cittadinanza dominicana, i nuovi schiavi non hanno di fatto accesso ai diritti fondamentali (istruzione, assistenza, sanità, ecc.). In aggiunta, la Corte Costituzionale Dominicana nel 2013 ha ritirato – retroattivamente (!) – lo “ius soli”, ovvero la cittadinanza e il diritto a ottenerla, a circa 210.000 persone nate in territorio dominicano fra il 1929 e il 2007 da genitori non residenti (cioè haitiani), creando un numero enorme di apolidi.

Una figura di spicco nel campo della lotta per i diritti degli haitiani “nuovi schiavi “ è stata quella di Christopher Hartley, sacerdote missionario inglese che operò nelle zone dello sfruttamento degli Haitiani dal 1997 al 2006, finché il vescovo di San Pedro de Macoris gli ordinò di lasciare l’area.
La sua storia e le condizioni degli haitiani sono descritte nel film “The Price of Sugar” (2007; voce narrante Paul Newman).

A seguito di una sua denuncia di violazione del trattato di libero commercio CAFTA-DR (Central America-Dominican Republic Free Trade Agreement), dove sono specificate le condizioni di lavoro che devono essere rispettate per la produzione dei beni importati negli US dalla Repubblica Dominicana, il Dipartimento del Lavoro degli US è stato costretto nel 2012 a verificarne l’attendibilità, inviando sul campo una delegazione. Il risultato fu un rapporto che confermava le denunce, elencava le violazioni della legislazione dominicana in materia di lavoro e raccomandava che venissero prese misure idonee, pena la rottura del CAFTA-DR; tuttavia non sembra che questa iniziativa abbia sortito risultati importanti. Il sacerdote nel frattempo è stato inviato in “esilio”, a operare in Etiopia e in Messico.

In occasione di un recente viaggio in Repubblica Dominicana, ho letto e riletto il libro di Zecca Castel, di cui per caso – avendola comprata usata – possiedo una copia firmata dall’autore, con dedica a un suo amico che evidentemente non ha ritenuto necessario conservarla. Provo una grande ammirazione per questo autore, per la sua iniziativa (è riuscito a passare del tempo in alcuni bateyes), per l’approfondimento e la chiarezza con cui espone la situazione degli haitiani.

Per recarmi a est, alla frontiera con Haiti, ho sfidato il traffico allucinante della Repubblica Dominicana, dove tutte le strade sono interrotte ogni poche centinaia di metri da riduttori di velocità e dove le tradizionali convenzioni del traffico rappresentano una opzione. San Fernando de Montecristi è una località turistica, dalle cui alture (El Morro) si vede Haiti e si può immaginare la più lontana e famosa isola Tortuga, storico covo di pirati di nazionalità varia.

 

El Morro, nei pressi di San Fernando de Montecristi (Foto: Max Stucchi)

Ho alloggiato in un hotel con qualche pretesa, che più tardi ho scoperto, con rammarico, essere di proprietà della famiglia Vicini (di origine italiana), una delle tre che detengono il monopolio della canna da zucchero. Nella cittadina si trova un orologio metallico disegnato da Eiffel

 

El “Reloj” di San Fernando de Montecristi (Foto: Max Stucchi)

e un piccolo museo che ricorda il manifesto per l’indipendenza di Cuba redatto nel 1895 da Josè Martì, cubano, e Maximo Gomez (dominicano) prima della loro partenza per liberare Cuba.

 

Il piccolo museo dedicato a Josè Martì e Maximo Gomez - San Fernando de Montecristi - (Foto: Max Stucchi)

Pochissimi i visitatori ma molte cose interessanti: l’immagine del percorso della liberazione di Cuba (1895-1896), da Oriente verso Occidente come più tardi dal 1956 al 1958 da Fidel Castro e dal Che;

 

(Foto: Max Stucchi)

l’immagine di Martì che issa la bandiera cubana a la Habana nel 1902, assieme a un generale degli US che, all’epoca, dovevano essere più collaborativi di adesso…

 

(Foto: Max Stucchi)

e una frase molto evocativa che fa pensare a una concezione dell’intera America molto diversa da quella attuale:

Le Antille libere salveranno l'indipendenza della nostra America e l'onore già dubbio e ferito dell'America inglese, e forse accelereranno e assicureranno l'equilibrio del mondo”.

 

(Foto: Max Stucchi)

Mi dirigo verso sud e mi fermo a Pepillo Salcedo, baia di Manzanillo, dove fluisce in mare il fiume Dajabon che segna il confine con Haiti.

 

Fino a poco tempo fa – ora non più – Google lo chiamava col suo nome comune di “Rio Masacre”, acquisito – dicono – non in ricordo del massacro del prezzemolo del 1937 ma di uno precedente….(andiamo bene).
Vorrei andare alla città omonima, vedere il ponte sul fiume dove si valica la frontiera, con passaporto oppure con dollari se si viene da ovest (ma si può anche guadare il fiume, da ovest, pagando una certa somma); vorrei seguire tutta la frontiera verso sud, arrivare al Lago salato Enriquillo impostato sulla omonima faglia che prosegue in territorio haitiano, faglia che è responsabile dei terremoti più forti, come quello del 2010. Già, Enriquillo, piccolo Enrique: orfano di caciques tainos venne educato e battezzato dai Francescani; da grande guidò una lunga guerriglia anticoloniale fra il 1520 e il 1532 che terminò con un accordo di pace.
Mi fermo, mi bastano i reticolati: qui il famigerato “muro di Trump” è già stato realizzato.

 Reticolato3

(Foto: Max Stucchi)

 (Foto: Max Stucchi)

Torno a est, verso il turismo, dove i dominicani cercano con insistenza radici spagnole e soprattutto “bianche”, per differenziarsi dagli haitiani.
La maggior parte dei turisti che affollano le spiagge dei resort e quelle private ignorano che i venditori di cocco sono fra i pochi haitiani liberi: molto neri, e, soprattutto, molto magri.

 

(Foto: Max Stucchi)

Massimilano Stucchi
Sismologo, già dirigente di ricerca e direttore della Sezione di Milano dell’INGV
Fondatore e curatore del blog terremotiegrandirischi.com
Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

 

Bibliografia
https://it.wikipedia.org/wiki/Batey
Haiti. Un terremoto che persiste da due secoli, di Eriona Culaj, Seneca Ed., Torino, 2010
Come schiavi in libertà. Vita e lavoro dei tagliatori di canna da zucchero in Repubblica Dominicana. di Raúl Zecca Castel, Edizioni Arcoiris, Salerno, 2015.
Haiti chérie, documentario, 2007.
https://en.wikipedia.org/wiki/The_Price_of_Sugar_(2007_film)
https://clacs.berkeley.edu/dominican-republic-bearing-witness-modern-genocide

Altman, Ida. “The Revolt of Enriquillo and the Historiography of Early Spanish America.” The Americas 63.4 (2007): 587-614.

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