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Domenica, 13 Lug 2025

aDietro i numeri, che registrano la notevole crescita della partecipazione al lavoro degli over 50 nel nostro paese, ci sono molte storia che Bankitalia, nella sua relazione annuale, prova a riepilogare e che, viste tutte insieme, ne raccontano una che le contiene tutte: il lavoro, già da oggi e ancor più domani, sarà sempre più appannaggio di chi ha i capelli bianchi.

E non solo perché facciamo sempre meno più figli, ma perché se vogliamo avere un futuro previdenziale, e non è è detto che sarà così, dobbiamo allungare la durata della vita lavorativa. 

Il primo dato che dobbiamo osservare è quasi scontato: dopo la pandemia, quando era praticamente crollata, la partecipazione al lavoro in Italia è cresciuta rapidamente. Per tutta la popolazione in età lavorativa, quindi i 15-74enni, il tasso di attività, nel 2023, risultava maggiore dello 0,6% rispetto a quello del 2019, arrivando persino a 0,9% nella fascia 15-64enni. Nel 2024, tuttavia, questa crescita si è interrotta, per lo più a causa di fattori ciclici (grafico in altro a destra).

I dati ci comunicano poi un’altra informazione utile da sottolineare. Dopo il picco raggiunto nel 2023, la partecipazione delle fasce più giovani della popolazione, quindi i 15-34enni, è tornata al livello del 2019. Sono i giovani quindi, ad aver subito più di altri il calo ella partecipazione osservato nel 2024.

Al contrario, quello delle fasce più anziane, che meno avevano risentito meno degli effetti della pandemia (grafico sopra a destra) ha continuato la sua crescita, superando di gran lunga tutte le altre classi di età, la cui partecipazione è rimasta sostanzialmente stagnante, “in linea con la tendenza dell’ultimo ventennio”, osserva Bankitalia.

Ed è qui che il dato diventa tendenza. Da una parte l’invecchiamento demografico, che spiega molto dell’aritmetica della partecipazione, ma non tutto. La classe 50-74enne partecipa di più al lavoro perché in questi venti anni, al netto di alcune decisioni politiche schizofreniche, è cresciuta l’età pensionabile (anche se esibiamo un numero ancora rilevante di pensioni anticipate), ma anche perché questa classe ha visto crescere al suo interno il livello di istruzione. Peraltro risulta anche poco correlata al ciclo economico.

Detto più chiaramente, gli over50 resistono bene agli stress del mercato del lavoro. Sono più stabili, forse perché meglio inquadrati contrattualmente, e quindi naturalmente anche più longevi, professionalmente parlando, specie nelle posizioni che richiedono livelli di istruzione più elevati.

C’è dell’altro probabilmente, che i dati dell’economia non riescono a catturare, ma l’aneddotica rappresenta con chiarezza. Parliamo della tendenza, specie in alcune professioni e posizioni, a preferire pensionati conosciuti, quindi dotati di una storia professionale di successo e buone relazioni, a persone ancora attive, ma con curriculum meno dotati. L’usato sicuro, insomma, batte il nuovo. Si vede dappertutto. Basta osservare l’età media di chi svolge ruoli di punta nel nostro paese.

Ma se si preferisce l’usato sicuro, e si rinuncia al nuovo, ossia si fa una scelta che premia la sicurezza e boccia l’incertezza, non dovremmo stupirci poi nell’osservare l’andamento lento della nostra economia. Un investimento meno rischioso implica logicamente un rendimento più basso. E per giunta crea il paradosso di avere pensionati che hanno anche notevoli redditi da lavoro, che invece potrebbero essere fruiti da persone ancora attive, che magari sono anche fuori dal mercato.

Se, infine, ricordiamo che il tasso di partecipazione al lavoro nel nostro paese è ancora inferiore di 8,8 punti alla media europea, ci rendiamo facilmente conto che la soluzione non può essere far lavorare solo gli anziani. Anche perché si rischia, così facendo, di lasciare lavorare soltanto loro.

Maurizio Sgroi
giornalista socioeconomico
autore del libro “La storia della ricchezza”
coautore del libro “Il ritmo della libertà”
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