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Venerdì, 03 Mag 2024

di Andrea Merlone*

Di seguito, una straordinaria testimonianza dalla Val Susa, esclusiva per Il Foglietto, di Andrea Merlone, primo ricercatore dell'Inrim di Torino.

Val Susa. Il grande cortile

Abbiamo cambiato idea. Avevate ragione voi. Dopo anni in cui ci avete accusato di essere NIMBY e noi lo abbiamo negato, ora vi diamo pienamente ragione. La resistenza che portiamo avanti da oltre venti anni è davvero egoisticamente NIMBY. E’ vero. Non vogliamo che sia realizzata un’opera inutile, costosa e dannosa nel cortile di casa nostra. Solo che per noi questo cortile ora è diventata tutta la nazione, se non addirittura l’Europa.

Non si tratta più di un movimento di montanari un po’ arrabbiati e ottusi. La lotta al TAV si è ormai estesa in tutta Italia e negli ultimi mesi è uscita anche dalle frontiere, legandosi a simili opposizioni ad altre opere in Europa. Che “il cortile” sia così grande, lo dimostra la risposta immediata, in tutta Italia, che ha accolto la raccomandazione dell’assemblea di Bussoleno: la parola d’ordine “Blocchiamo tutto” è stata presa seriamente. Alessandria, Ancona, Avellino, Bergamo, Bologna, Brescia, Catania, Genova, Imperia, Mantova,  Milano, Napoli, Palermo, Pesaro, Pisa, Roma, Reggio Emilia, Salerno, Sestri Levante,  Torino, Trento, Trieste, Lione, Donostia, Parigi, Dublino, Londra, Ginevra, Budapest, Kiev hanno messo in atto azioni di ogni genere.

Espressioni di denuncia per l’ennesimo episodio di violenza della polizia, con pestaggi, caccia all’uomo, danneggiamenti di automobili, negozi, vetri di case colpiti da lacrimogeni e arresti indiscriminati; in “azione” prendono sempre chi corre di meno, come nel caso di Nina e Marianna e questa volta hanno preso un ragazzo che non poteva correre a causa di problemi respiratori.

“Siamo pronti al dialogo con chi manifesta pacificamente”. Con queste parole, solitamente accompagnate da uno studiato sorriso elettorale, ci siamo sempre sentiti “incoraggiare”. Solo che non ci crediamo più. Avevamo appena concluso una manifestazione, il 25 Febbraio, in cui decine di migliaia di persone hanno marciato da Bussoleno a Susa, pacificamente, per ribadire le ragioni del movimento NO TAV.

Neanche un giorno dopo, avete mandato le ruspe, accompagnate dalle solite centinaia di agenti, pronti a “usare la forza” contro chi si oppone. Già. Avete mai fatto caso all’utilizzo dei termini? Loro “usano la forza”, quella buona tipo “guerre stellari…”, noi invece usiamo la violenza. O meglio, ci dicono "dovete isolare i violenti!"… ci abbiamo provato, abbiamo anche fatto delle barricate, ma loro hanno lacrimogeni, manganelli, idranti...non è facile! E i lacrimogeni ce li sparano addosso. Non “ad altezza uomo” ma mirando e sparando addosso a noi, con le gravi conseguenze di cui ci siamo già dimenticati.

Pestano indiscriminatamente anche gli anziani. Come avevate fatto a Venaus nel 2005, come avete fatto il 27 giugno alla Maddalena e come avete fatto per quasi due mesi, tra luglio e settembre a Chimonte e a Giaglione.

Anche di questi episodi si è parlato poco. Penso che mai in Italia si siano verificati scontri, con uso di idranti e lacrimogeni TUTTE le sere, come è avvenuto quest’estate a Chiomonte.

La sera, alle cene all’aperto, seduti alle lunghe tavolate conviviali trovavamo anziani di montagna, famiglie con i bambini (noi stessi abbiamo portato nostra figlia sovente), contadini ma anche professori, e tanti giovani di ogni genere e da luoghi diversi.

Ebbene, facendo bene caso, quasi tutti a tavola avevamo a portata di mano, a tracolla o in borsa, una maschera anti gas. Un accessorio indispensabile in valle di Susa. Quando di là dal cancello gli girava storto, quelli sparavano lacrimogeni. Da dentro le reti loro sparavano. Magari perché infastiditi dalla “battitura” ritmica dei guard rail delle strade a fianco.

Oppure perché qualcuno rumoreggiava di fronte ai cancelli. Loro sparavano gas. E allora la scena era la solita. Smettere di mangiare, indossare le maschere, correre a raccogliere e cercare di neutralizzare i lacrimogeni, prima che il CS contenuto causasse le solite reazioni di tosse e vomito in chi era sprovvisto di protezione. Uno strumento di protezione, la maschera anti gas, che diventa capo di imputazione e permette arresti e fogli di via.

Ma di questo si è scritto poco e pochi ne sono al corrente, come ci si è dimenticati delle decine di manifestazioni, presidi, momenti di informazione che non sono finiti in scontri.

Dove sarebbe quindi questa voglia di dialogo?

Lunedì scorso, insieme ad altri due NO TAV, tra cui un ordinario del Politecnico di Torino e a Gianni Vattimo, che si è aggiunto a noi, siamo stati ricevuti dal Consiglio Comunale di Torino. Non su richiesta dei consiglieri, di certo, ma grazie a una folla che urlava sotto le finestre del palazzo comunale. Siamo andati a chiedere al sindaco Fassino se sarebbe stato pronto a prevedere anni di occupazione militare, di cantieri abusivi, di espropri senza titolo o autorizzazione, sul territorio di Torino, come sta avvenendo in valle di Susa. Ebbene, come sempre, avevamo di fronte sguardi persi, che non capivano di cosa stessimo parlando.

Oltre alle pacifiche manifestazioni e all’esclusione dei tecnici contrari all’opera, non sono infatti mai stati presi in esame i dati reali sullo pera stsssa, di recente oggetto anche di un’interpellanza al Presidente della Repubblica, firmata da oltre trecento tra ricercatori e docenti universitari. Carta straccia, come al solito.

E anche con le cifre non ci siamo. Con un’operazione da “cut and paste”, si è tagliata l’opera in tre fasi e i costi ridotti oggi sbandierati (8 miliardi di euro, di cui una parte forse co-finanziata UE) si riferiscono al solo tunnel e non all’opera completa, inclusa la parte italiana di raccordo con l’alta velocità Torino Milano. Al punto, anch’esso paradossale, che l’idea attuale è quella di un traforo di 57 km (tra Susa e St. Jean de Maurienne) in cui dovrebbero transitare i treni super moderni, per poi raccordarsi alla linea esistente. Il costo complessivo resta sempre intorno ai 20 miliardi a preventivo, con la Corte dei Conti che considera “di routine” un aumento da 1.6 a 8 volte il preventivo, per i consuntivi delle grandi opere.

Provate a chiedere ai sostenitori se si tratta di una ferrovia ad alta capacità o un treno ad alta velocità. Non vi sapranno rispondere (qualora abbiano capito la domanda!). Non lo sanno e non è ancora chiaro, dato che i progetti non sono mai stati pubblicati, a patto che esistano. E provate a fare un giro e chiedere a ogni cittadino di darvi subito qualche centinaio di euro a testa per l’avvio dei lavori. Lavori che non sono mai iniziati.

Il finto cantiere è oggi solo un’insieme di recinzioni abusive, che hanno anche illegalmente requisito il museo archeologico, oggi chiuso e trasformato in fortezza e ricovero per i militari, insieme a vigneti, cantina sociale, un bed & breakfast.

Aperto con il violento sgombro del 27 giugno, da allora non ha visto all’opera nessuno, se non una sfilata continua di polizia, finanza, carabinieri, alpini e pure i corpi anti sommossa della forestale (manco dovessero contrastare la carica dei cinghiali!).

Menzogne pure quelle che sostengono che in Francia l’opera sia già iniziata. I francesi hanno solo effettuato due scavi di sondaggio e prevedono di realizzare un’opera a un solo binario.

Ordinanze prefettizie di urgenza, quando l’urgenza non esiste. Il potere del Prefetto, ridimensionato dalla Corte Costituzionale, dovrebbe limitarsi a interdire un’area o una strada in soli casi di emergenza. Tipo chiudere un ponte, se sta per crollare. Ma dove può esistere un’emergenza se, come dite, l’opera è in discussione da venti anni e non c’è un solo documento EU che fissi date e luoghi in modo definitivo?

E non è vero che “non si può tornare a rivedere gli impegni presi”. Non solo per il ponte sullo stretto o per le olimpiadi di Roma. Quando venne proposto il progetto del Concorde, l’Italia ne ordinò diversi esemplari, come pure USA e altri. Successivamente, quando emersero i problemi e i costi del mezzo, noi (e anche gli USA) ritirammo gli ordini.

Di recente anche testate quali “The Economist” e “Guardian” bocciano su tutta la linea le opere di alta velocità, sostenendo come esse creino centri congestionati a discapito di aree periferiche emarginate, aggiungendo come economicamente sia più conveniente una rete di trasporti diffusi ed efficienti.

Ma si sa che l’Economist e il Guardian sono noti bollettini anarco insurrezionalisti.

Quest’anno siamo così andati in giro per l’Italia a spiegare le ragioni tecniche, ed economiche che dimostrano la non accettabilità dell’opera.

In una delle tante date mi è capitata l’occasione di avere anche una controparte. Raramente infatti accettano il confronto. Quel giorno dividevamo il banco di una sala gremita da centinaia di giovani con Stefano Esposito, del PD. Dopo la sua introduzione sono passato a presentare i dati raccolti in anni di studi e valutazioni fondate su dati riferibili, citazioni riportate con date e luoghi, eventi, documenti ufficiali (delibere, ordinanze etc). Tutto corroborato da dati robusti, percentuali accompagnate anche da margini di incertezza. (Proprio a questo serve la metrologia!).

Di fronte alla presentazione, il malcapitato del PD ha trovato un’unica soluzione: è scappato. Letteralmente. Ha abbandonato l’aula sostenendo che così noi “stavamo arruolando ecoterroristi”. La platea attonita ha solo potuto vedere un omino che andava via sbraitando da solo (non aveva nessuno ad accompagnarlo, malgrado il suo ruolo di deputato).

Hanno sempre fatto così; centro destra e centro sinistra. E lo ha fatto anche Mario Monti. Nella recente conferenza stampa è riuscito solo a ripetere i farfugliamenti privi di consistenza che sentiamo da venti anni: “Rimarremo tagliati fuori dall’Europa… non ci saranno danni all’ambiente… porterà lavoro e sviluppo… il governo tollera la libertà di pensiero… e poi ancora…andremo avanti con determinazione”. A cui si aggiunge la nuova litania bipartisan “sono anni che ne parliamo, ora è tempo di andare avanti”. Si, perché è vero: sono proprio tanti anni.

A oltre venticinque anni risale il progetto, che prevedeva aumenti di traffici ed esigenze ben diverse alle attuali. Eravamo in pieno boom delle finanze, quello basato sull’aria fritta, degli anni ottanta e novanta, di cui paghiamo ora le conseguenze. Allora si poteva osare, si poteva prevedere un aumento di traffici e passeggeri esponenziale. Ho fatto anche io una prova simile. Nostra figlia ha poco più di un anno ed è alta 73 cm. Ho seguito con attenzione la sua crescita negli ultimi mesi e ho interpolato i dati, per poi ottenerne un’estrapolazione e cercare di capire quanto crescerà. Se estendo la curva che ho ottenuto, ne risulta che a 12 anni sarà alta 210 cm e a 21 anni sarà vicina ai tre metri di altezza!

Ci sarebbe da ridere, se non fosse lo stesso metodo usato per motivare l’opera.

Tali sono le previsioni date dagli ultimi dati, affidati paradossalmente alla stessa LFT, Lyon Turin Ferroviaire, la società responsabile della parte comune italo francese. No, non è uno scherzo.

Si chiede di analizzare le possibilità di espansione dei traffici, alla stessa ditta che dovrà ottenere gli appalti da miliardi di euro. Lo studio LTF prevede un incremento di traffico nel 2050 a 110.6 milioni di tonnellate (notare il numero a quattro cifre significative, con evidente incertezza in 10-4 su un’estrapolazione, anche se sulle estrapolazioni l’incertezza perde di significato matematico!). Mentre i passeggeri necessari per l’auto sostentamento dell’opera, indispensabile per ottenere i finanziamenti UE, dovrebbero essere circa 48.000 al giorno. Attualmente il traffico merci è di 2.9 Mton all’anno e i passeggeri al giorno sono meno di 2000 (transitano infatti solo due convogli da mille posti, mai pieni).

Fate un giro in valle e guardate i convogli che circolano con i vagoni vuoti.

Già, perché pochi ricordano che in valle di Susa i treni merci e ad alta velocità circolano già. E pure i convogli tipo “modalhor”, in grado di caricare TIR e motrice, spostando le merci da asfalto a ferrovia, che viaggiano vuoti anche quando noi blocchiamo le autostrade!

La linea esiste, è appena stata ammodernata e, come dice Trenitalia “si apre uno scenario tutto nuovo per il mercato dei trasporti” (La Repubblica 18 settembre 2011).

E allora perché chiudere questo scenario in un buco da 57 km, e con esso miliardi di euro che potrebbero essere meglio destinati e interventi sociali, sanità e ricerca?

Andrea Merlone, primo ricercatore INRiM.

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