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Giovedì, 04 Lug 2024

E’ illegittimo il provvedimento con il quale un ente pubblico ha respinto la domanda di un dipendente  volta ad ottenere il riconoscimento del diritto a fruire dei riposi giornalieri di cui all’art. 40 del D.L.vo 26 marzo 2001 n. 151 con decorrenza dal giorno successivo al compimento del terzo mese di vita del figlio.

Il diniego era stato motivato con il fatto che la moglie dell’istante era nella condizione di casalinga, mentre le ipotesi contemplate dall’art. 40 del D.Lgs. 151/2001 prevedono la fruizione dei riposi in argomento da parte del padre nel caso di rinuncia della madre lavoratrice.

Con sentenza n. 4618 del 10 settembre 2014, il Consiglio di Stato ha recepito l’orientamento espresso dalla Cassazione che, con sentenza n.20324 del 20.10.2005, esaminando la questione della risarcibilità del danno da perdita della capacità di lavoro, ha assimilato l’attività domestica ad attività lavorativa, richiamando i principi di cui agli artt. 4, 36 e 37 della Costituzione.

Né può condividersi l’assunto – aggiunge il Consiglio di Stato - secondo cui “la considerazione dell’attività domestica, come vera e propria attività lavorativa prestata a favore del nucleo familiare, non esclude, ma al contrario, comprende, come è esperienza consolidata, anche le cure parentali” (così il citato parere del C.d.S., Sez. I, 22.10.2009, n. 2732), poiché esso oblitera l’innegabile circostanza, che costituisce il fondamento dell’istituto dei permessi giornalieri, della estrema difficoltà di cura della prole da parte anche della madre casalinga, specie laddove si ponga mente alle complesse esigenze di accudimento dei figli nel primo anno di vita (nel corso del quale spettano i permessi de quibus).

Del resto – aggiunge il Consiglio di Stato - proprio perché i compiti esercitati dalla casalinga risultano di maggiore ampiezza, intensità e responsabilità rispetto a quelli espletati da un prestatore d’opera dipendente (Cass. civ., Sez. 3, n. 17977 del 24 agosto 2007; idem, 20 luglio 2010 n. 16896; da ultimo, Cass. civ., III, 13 dicembre 2012, n. 22909) è del tutto incongruo dedurne, coma ha fatto il Giudice di primo grado, “l’oggettiva possibilità, nel caso della lavoratrice casalinga, di conciliare le delicate e impegnative attività di cura del figlio con le mansioni del lavoro domestico”; laddove, invece, è dato di comune esperienza che l’attività dalla stessa esercitata in àmbito familiare spesso necessita, alla nascita di un figlio, di aiuti esterni ( collaboratore/trice familiare e/o baby-sitter ), utilmente surrogabili, nel caso delle famiglie mono-reddito, proprio mediante ricorso al godimento dei permessi di cui all’art. 40 cit. da parte dell’altro genitore lavoratore dipendente.

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