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Mercoledì, 03 Lug 2024

Senza il volontariato l’Italia sarebbe un Paese più diseguale. E’ quanto emerge dal nuovo importante  focus di ricerca realizzato dalla Fondazione Volontariato e Partecipazione - curato dallo statistico Andrea Bertocchini e dalla sociologa Paola Tronu - che verrà presentato oggi, alle 16 presso il Palazzo Ducale di Lucca, all'apertura della VI edizione del Festival Italiano del Volontariato 2016.

Il tema delle diseguaglianze si intreccia in vari modi con quello del volontariato, da un lato esso è un segmento avanzato della società civile, che offre le proprie risorse a beneficio degli altri membri della collettività, dall'altro contribuisce ad attenuare alcuni effetti delle diseguaglianze e a rafforzare la coesione sociale.

La Fondazione Volontariato e Partecipazione ha voluto indagare una questione meno dibattuta e studiata: quella del legame tra lo status socioeconomico degli individui e la loro scelta di svolgere attività di volontariato a beneficio di terzi e il ruolo delle diseguaglianze come determinanti dell’attività di volontariato.

I volontari con più alte risorse economiche famigliari o personali si impegnano più spesso degli altri nelle organizzazioni operanti negli ambiti culturali e ricreativi, di filantropia, istruzione e ricerca. Svolgono inoltre più frequentemente degli altri ruoli equivalenti a professioni intellettuali o tecniche, in conformità con il loro bagaglio di istruzione e di esperienza professionale, motivati a svolgere volontariato da convinzioni valoriali (credono nella causa sostenuta dal gruppo o associazione) o sociali-solidaristiche (l'urgenza di far fronte ai bisogni che i servizi pubblici non soddisfano o dare un contributo alla comunità, all'ambiente).

Infine, vedono in misura maggiore come risultati dell’attività svolta il cambiamento personale, una maggiore coscienza civile e politica, la valorizzazione di precedenti esperienze e capacità altrimenti non utilizzate e il miglioramento delle capacità di relazione, ma sono anche quelli che più spesso degli altri pensano che niente sia cambiato nella loro vita per effetto dell’attività come volontari.

I volontari con minori risorse famigliari e educativo-professionali personali, invece, danno un contributo maggiore, sempre comparativamente rispetto agli altri, alle organizzazioni nei settori della sanità, dell’ambiente e della cooperazione. Ricoprono ruoli assimilabili a professioni esecutive o dei servizi, motivati dalla ricerca di un miglioramento della propria vita relazionale, di un arricchimento professionale o per avere maggiori opportunità di lavoro.

A differenza dei volontari benestanti, pensano più spesso che l’attività di volontariato li abbia portati a sentirsi meglio con se stessi, ad essere più informati e ad acquisire maggiori competenze utili sul lavoro, come anche ad allargare la propria rete di relazioni.                                                                

«I risultati dello studio - commenta il presidente del Centro Nazionale per il Volontariato Edoardo Patriarca - confermano quanto la scelta di fare volontariato da parte delle persone sia benefica. Il volontariato in Italia è un potente fattore di redistribuzione solidaristica da parte di chi è socialmente garantito, ma anche un’occasione di inserimento sociale e crescita culturale per chi vive posizioni socioeconomiche più deboli».

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