Atelier. Giuseppe Modica. Opere 1990-2021 - Museo Hendrik Christian Andersen, mostra aperta al pubblico fino al 24 ottobre.
C’è ancora tempo per visitare la mostra di Giuseppe Modica a Roma, al Museo Hendrik Christian Andersen. Un’occasione imperdibile per ammirare una selezione di 37 lavori che rappresentano il meglio della produzione artistica degli ultimi trent’anni di questo autore. La mostra, curata da Giuseppina Di Monte e Gabriele Simongini, ruota attorno al tema centrale dell’atelier. Lo studio dell’artista (di ogni artista) inteso non solo come spazio fisico ma, ancor di più, come spazio mentale, come luogo dello spirito del fare che tanto decide delle sorti di un’avventura artistica. A giudicare dalla qualità delle sue opere, Modica deve avere con il suo atelier un rapporto speciale e particolarmente fecondo.
Non è solo ovviamente una questione di familiarità con un luogo che predispone l’artista ad un’operosità gravida di esiti buoni, ottimi o sorprendenti. È qualcosa di più. C’era un mio amico, grande pittore pure lui, che si definiva un “viaggiatore da stanza”. E i suoi viaggi ulissici erano inversamente proporzionali alla sua (solo apparente) pigrizia. Una volta chiesi a questo pittore spiegazioni sul titolo di un suo quadro che si intitolava “Finestra su …” e a seguire il nome di una città esotica. Su quella città lui mi raccontò meraviglie. Ma appena gli chiesi quando e quanto tempo ci avesse abitato, mi rispose che non l’aveva mai vista. È questo l’atelier per gli artisti che appartengono a una storia purtroppo in via di estinzione. È un mondo. Anzi un universo che è la conditio sine qua non di qualsiasi creazione.
Se togliete a un artista l’atelier e la memoria è come se lo lobotomizzaste, un po’ come togliere a un medico la possibilità di dialogare con il suo paziente raccogliendone la storia e di visitarlo nel suo studio usufruendo degli strumenti basici della semeiotica clinica. Scrive Giuseppe Modica: “Più volte nelle mie note scritte mi sono soffermato sullo studio-atelier inteso come labor-oratorium: è nell’atelier che si riordinano e chiariscono le idee; è in questo luogo magico che avviene la conversione alchemica dei pensieri, dei frammenti di memoria e delle annotazioni (…) che si organizzano e prendono forma diventando pittura, configurazione visiva”. Che il luogo di questa mostra sia a sua volta il contenitore di ben due atelier di una artista importante (che dà il nome al museo) fornisce un sovrappiù di significato a un’operazione che ha centrato tutti gli obiettivi che si proponeva, suscitando se pure in un periodo complicato come quello della pandemia, grande interesse di pubblico, di critica e di stampa.
Per quanto riguarda la cifra della pittura di Giuseppe Modica, così ben rappresentata in questa esposizione, mi è capitato più volte di scriverne; in particolare tracciando un suo profilo in Fragili eroi, un libro edito da DeriveApprodi, in cui raccolsi i ritratti degli artisti, dei pittori soprattutto, da me più amati. Un antefatto rispetto alla grande personale che ebbi l’onore di curare anni dopo l’uscita di questo volume del 2010, presso la Nuova Pesa di Roma. Mi limiterò, per ragioni di spazio in questa circostanza, a richiamare alcuni dei suoi “motivi ricorrenti”, che fecero innamorare del suo lavoro persino Leonardo Sciascia.
La luce prima di tutti, la sua luce azzurra e pulviscolare (magistralmente descritta da Maurizio Fagiolo Dell’Arco, altro suo grande estimatore); l’opzione neo-metafisica, filtrata attraverso una personalissima visione del concettualismo in arte che rifiuta e respinge il divorzio fra idea e mestiere; la sicilianità come cuore pulsante di un’origine che non si rinnega; il ricorrente tributo al Velàzquez e ai giochi che attorno allo specchio e al concetto di doppio e di rimando scatenano la potenza geometrica della fantasia creativa; l’omaggio alla bellezza femminile, ancora una volta ossimorica perché capace di mettere insieme sensualità e idealità; e infine l’immersione quotidiana e la partecipazione attiva, cocciuta e ribelle a quella cultura meridiana, tanto cara ad Albert Camus, che rischia l’osso del collo di fronte all’invasione quotidiana e martellante di modelli banalizzanti e privi di identità, schiavi unicamente delle leggi e delle manovre del mercato.
Nell’atelier di Giuseppe Modica il teatro dei suoi “viaggi da stanza” tutti i giorni rinasce e si rinnova, mettendo in scena – per fortuna ancora – una di quelle cose per cui vale la pena di vivere: la pittura.
Roberto Gramiccia
redazione@ilfoglietto