La portalettere di Francesca Giannone - Casa Editrice Nord - 2023, pp. 414 – euro 19,00.
Recensione di Adriana Spera
Oggi ci scandalizziamo nell’osservare le condizioni di vita delle donne provenienti da paesi in cui per cultura esse devono essere sottomesse, eppure, chi ha una certa età può ben ricordare la condizione della donna nell’Italia rurale dagli anni trenta fino ai cinquanta, specialmente al sud.
Questa è la storia, ovviamente romanzata, di Anna Allavena, trisavola dell’autrice Francesca Giannone, approdata, nel 1934, da Pigna, in provincia di Imperia, al seguito del marito Carlo Greco e del figlio Roberto, nel piccolo borgo di Lizzanello, in provincia di Lecce.
Per lui era il ritorno al suo paese d’origine, dopo aver ereditato una bella casa e terreni agricoli da uno zio, l’inizio di una nuova vita.
Per lei, invece, la discesa in un mondo estremamente arretrato rispetto alla sua Liguria, un paese dove regnano povertà e diffidenza nei suoi confronti, tant’è che verrà subito soprannominata la forestiera, appellativo che le resterà appiccicato anche quando si sarà integrata nella comunità.
Anna è vista come una diversa perché nel suo paese faceva la maestra, non va in chiesa, col tempo lavorerà, indosserà i pantaloni e ciò che è “peggio” condurrà battaglie per i diritti politici, civili e sociali delle donne e, in generale, per gli ultimi, spendendosi in prima persona e affrontando a testa alta i pregiudizi dei locali.
Insomma, Anna senza esibizionismi ma in maniera molto pragmatica e fattiva, è sempre pronta ad aiutare tutti, mette in atto le sue convinzioni politiche di comunista (che non vota neppure per il marito quando si candiderà sindaco per la Democrazia Cristiana) e col tempo guadagnerà la stima e l’amore dei lizzanellesi.
Il marito Carlo, tornato in paese, sembra inizialmente quasi in imbarazzo per le scelte e i comportamenti della moglie, sente pesare il giudizio della gente, ma è una breve fase, il suo buon carattere e l’amore per Anna lo portano ad assecondare e difendere le scelte della moglie.
Pur amando Carlo, le vere affinità elettive ci sono con il cognato Antonio, produttore di olio con la passione per la lettura, con il quale si scambiano per anni, fino alla rottura, i libri con le rispettive annotazioni. «Ricordi il romanzo che stavo leggendo a Gallipoli? Credo fosse l’estate del 1937, quando avevamo passato le vacanze tutti insieme in quella deliziosa villetta che Carlo aveva affittato. Il romanzo era "Le affinità elettive di Goethe". – scrive in punto di morte Anna al cognato Antonio – Mi aveva incuriosito per la domanda che poneva, la stessa che in quel momento mi stavo ponendo anch’io: cosa succede a una coppia di elementi se ne entra in gioco un terzo? Anche allora, come ho sempre fatto, avevo sperato di trovare la risposta in un libro. Ma quella volta non era successo. E sai perché? Perché la risposta ce l’avevo davanti agli occhi: eri tu».
Carlo, invece, si getta anima e corpo nella creazione dal nulla e senza esperienza - aiutato dal vecchio don Ciccio, papà della sua ex fidanzata Carmela - nella creazione di un’azienda vitivinicola nelle terre lasciategli dallo zio. Avrà un grande successo con il suo rosato denominato “Donna Anna” e in seguito con il rosso “Don Carlo”.
Ma nel piccolo mondo di Lizzanello, Anna si sente prigioniera, vuole lavorare, d’altronde nella sua Liguria insegnava, e così nel 1935 partecipa a un bando delle Poste per l’assunzione di una portalettere e, grazie al suo titolo di studio di maestra, lo vince suscitando sommo scandalo nel paese e quasi la rottura del suo matrimonio.
Sarà la prima postina di Lizzanello e forse d’Italia.
Consegnando ogni giorno, per oltre vent’anni, prima a piedi e poi in sella alla sua Bianchi, lettere, cartoline, pacchi e telegrammi talvolta portatori di brutte notizie, pur restando per tutti la forestiera, diventa una istituzione, tutti le vogliono bene per la sua gentilezza, per come sa stare vicino alle persone in difficoltà.
Riesce a ridare dignità a quella che era considerata la matta del paese, Giovanna, che diventa la sua più cara amica.
Si schiera con i braccianti che lottano per la riforma fondiaria (i terreni della loro zona sono inspiegabilmente esclusi dal provvedimento di legge), pur essendo la moglie di un proprietario terriero nonché ormai sindaco democristiano del paese.
Quando Carlo muore, ancora giovane, è il 1951, Anna impegna le risorse che egli le lascia in un progetto a lungo sognato: realizzare una "Casa per le Donne" in cui accogliere vittime di violenza domestica, cacciate dalle famiglie perché incinte o semplicemente così povere da non avere i mezzi per sopravvivere.
La “portalettere” offre a quelle donne non solo un rifugio, ma insegna loro innanzitutto a leggere e poi un lavoro, perché l’indipendenza economica è fondamentale per essere donne libere. La "Casa delle Donne" è anche scuola, biblioteca, asilo nido per i bimbi.
Insomma, Anna, nel retrivo e povero sud degli anni ’50 con le sue sole forze crea un sistema di servizi sociali per le donne impensabile al tempo.
Non che la situazione oggi sia molto meglio: al Sud lavora una donna su tre, e quelle che lavorano scontano più che altrove il gender pay gap, a causa dell’ampia diffusione di contratti part-time e a termine.
Né si fa nulla per migliorare la situazione, per offrire servizi che possano aiutare le donne ad avere un più facile (e a migliori condizioni) accesso al mercato del lavoro. Si continuano a perdere occasioni preziose, ad esempio, con la rimodulazione del Pnrr da parte del governo Meloni v’è stata una riduzione dei nuovi posti negli asili nido da 264.000 a 150.480. E sempre lo stesso governo ha cancellato 300 milioni di euro di fondi Pnrr da destinare ai beni confiscati alle mafie (240 progetti già avviati), compresi 80 progetti destinati alla creazione di centri antiviolenza per le donne in difficoltà.
Un difetto però questo libro ce l’ha, pur dipanandosi la storia tra il 1934 e il 1961, si accenna appena a ciò che accadeva negli anni del fascismo e del nazismo, che pure furono molto difficili per la popolazione salentina.
Viceversa, sono molto vive le pagine dedicate alle battaglie per diritto di voto alle donne e quelle per la riforma agraria, per la redistribuzione delle terre, l’occupazione delle terre dell’agro di Arneo, tra Nardò e Taranto.
Un romanzo dove al centro c’è una donna, una donna che ha voluto vivere senza farsi condizionare dal contesto culturale e sociale, che lotta per i suoi diritti, che non accetta prepotenze né su di sé, né sulle altre donne, una donna che si batte per far capire alle altre che solo unite si possono conquistare i propri diritti, come fa la nascente l’Udi (Unione donne italiane).
Adriana Spera