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Mercoledì, 03 Lug 2024

Un’ordinanza (n.1918/2014) di remissione alla Corte Costituzionale, depositata nei giorni scorsi dalla IV Sezione del Consiglio di Stato, ha improvvisamente riacceso le speranze di quanti da dodici anni si battono per ottenere l’applicazione di una legge dello Stato.

La legge in questione è la n.145 del 15 luglio 2002 che, con l’art. 7, comma 3, aveva aggiunto al d.lgs. n. 165/2001 l’art. 17-bis, che demandava alla contrattazione collettiva tra Aran e confederazioni sindacali il compito di disciplinare “l'istituzione di un'apposita separata area della vice dirigenza”, allo scopo di valorizzare quelle figure professionali che, dotate di una elevata qualificazione professionale all’interno della struttura organizzativa della pubblica amministrazione, ricoprivano funzioni di rilievo organizzativo.

La disciplina, però, soprattutto per volontà politica, non è mai stata messa a punto, con la conseguenza che nel corso degli anni sono stati proposti dal personale interessato innumerevoli ricorsi, giunti addirittura in Cassazione che, con sent. n.28208 del 22 dicembre 2011, ha statuito che, nel caso in cui i contratti collettivi omettano l'applicazione del predetto art. 17-bis, è lo stesso organo giudicante ad attribuire la qualifica ai lavoratori aventi i requisiti legislativi prescritti.

La risposta del governo non si è fatta attendere e, lungi dall’essere favorevole al personale interessato, ha inteso risolvere in maniera radicale il problema con l’art. 5, comma 13, della L.135/2012, che ha abrogato l’intero istituto della vice dirigenza, nella duplice convinzione, evidentemente, di far cadere nel nulla tutte le azioni giudiziarie già in corso e di bloccarne di nuove.

Ma dello stesso avviso non è stato il Consiglio di Stato al quale si erano rivolte alcune centinaia di dipendenti pubblici per impugnare la sentenza del Tar del Lazio n. 9920/2012 che, proprio a seguito della sopravvenuta abrogazione, aveva dichiarato la carenza di interesse da parte dei ricorrenti, che avevano ottenuto in precedenza dallo stesso Tar non solo una sentenza favorevole (n. 4266/2007) ma anche la nomina di un commissario ad acta (sent. 4391/2012) che procedesse, previa valutazione dei titoli richiesti dalla legge, all’attribuzione della qualifica di vice dirigente.

Il commissario ad acta, infatti, dopo la cancellazione della vice dirigenza e prima di concludere il suo incarico, aveva testualmente scritto al Tar: "ritengo sia venuta meno ogni attività da espletare in ottemperanza alla predetta sentenza. In ogni caso, sono gradite le istruzioni che codesto Tribunale, ai sensi dell'art. 117, co. 4, del D.Lgs. 2/7/2010 n. 104, vorrà fornire in ordine alla eventuale prosecuzione dell'incarico di questo commissario ad acta".

La prima sezione del Tar del Lazio, con la suddetta sentenza n. 9220/2012, condividendo le conclusioni del commissario, dichiarava cessato l’incarico ad acta ed improcedibile il ricorso proposto dai dipendenti aspiranti vice dirigenti, per sopravvenuta carenza d’interesse.

Come detto, però, il Consiglio di Stato non ha avallato tout court la decisione del Tar, ravvisando la non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 5, comma 13, della legge 135/2012, di abrogazione della vice dirigenza, in relazione agli artt. 3, 111 e 117, Cost, con riferimento all’art.6, comma primo, della Convenzione Europea per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle libertà fondamentali (CEDU).

“Molti dubbi - hanno aggiunto i Giudici di Palazzo Spada - solleva la successione temporale dell’intervento abrogativo, chiaramente diretta a paralizzare l’esecuzione del giudicato formatosi sulla sentenza n. 4266/07 sez. I del Tar Lazio.

Il giudice di prime cure non ha considerato che la norma soppressiva della vice dirigenza è stata emanata a distanza di 10 anni dall’introduzione dell’istituto, ad opera dell’art.7, comma terzo, della L. n.145 del 15/7/2002, ed a distanza di 5 anni dalla formazione del giudicato; e che, da ultimo, il comma 13 dell’art. 5 è stato emanato solo dopo la notificazione della sentenza del Tar del Lazio.

In questo quadro temporale, l’asserita urgente soppressione dell’istituto della vice dirigenza appare visibilmente connessa con un evidente legame eziologico di tipo causa-effetto, alla nomina del commissario ad acta.

L’intento elusivo del giudicato è quindi evidente e rende fondato il dubbio che la disciplina legislativa in questione sia stata posta, con eccesso di potere legislativo e con violazione dell’art. 101 Cost., non per regolare astrattamente la materia, ma per incidere sulle sorti del procedimento giurisdizionale in corso”.

Spetterà alla Consulta, dunque, scrivere la parola fine su una vicenda paradossale. Tutta italiana.

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