Quando si ricevono dall’amministrazione somme non dovute, in quanto non spettanti, occorre restituirle, a nulla rilevando la buona fede dei percipienti. Questo, in buona sostanza, il principio di diritto enunciato dal Tar Lazio - Sezione Prima bis - con sentenza n.10882 del 3 novembre 2016.
Il caso ha riguardato alcuni ufficiali, beneficiari di particolari provvidenze stabilite dalla legge, ad essi versate a titolo di prima sistemazione, atteso che gli stessi avevano lasciato il servizio a domanda.
Al riguardo, il Tar ha sottolineato come i ricorrenti, dipendenti pubblici, non avessero sostenuto la legittimità dell’emolumento percepito, né avessero contestato il provvedimento implicito di annullamento della originaria erogazione, quanto piuttosto la procedura assunta dalla p.a. per la sua ripetizione.
Nel respingere il ricorso, i giudici amministrativi hanno precisato come il recupero delle somme erroneamente corrisposte dalla p.a. fosse, per essa, un atto dovuto, privo di valenza provvedimentale, che, in quanto tale, non richiede alcuna puntuale motivazione, stante che, nel conflitto tra l’interesse del percipiente alla conservazione dell’indebito e quello pubblico alla buona e corretta amministrazione, prevale senz’altro quest’ultimo.
In particolare, quanto alla buona fede, il Tar ha ribadito l’orientamento giurisprudenziale che, a far data dalla prima metà degli anni novanta, ha statuito che “la buona fede non è più idonea a legittimare la conservazione di un trattamento economico non spettante, ma semmai solo a temperare l’onerosità e i disagi del suo recupero da parte dell’amministrazione”, che nel caso di specie certamente non vi sono stati, essendosi provveduto attraverso un piano di recupero rateale delle somme erroneamente versate, secondo un criterio che non ha pregiudicato le essenziali esigenze di vita degli interessati.