Con sentenza n. 18659/20, pubblicata l’8 settembre scorso, la Corte Suprema di Cassazione, Sezione Lavoro, ha accolto il ricorso proposto contro l'Istituto nazionale per l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro (Inail) dagli eredi di un lavoratore - deceduto a seguito di un sinistro stradale verificatosi durante il rientro al lavoro, dopo aver usufruito di un permesso per motivi personali - avverso la sentenza della Corte d’Appello di Venezia n. 217/2013.
La Corte territoriale, infatti, contrariamente al Tribunale che aveva dato ragione ai ricorrenti, aveva accolto le tesi della parte appellante (Inail), sul presupposto che “la fruizione di un permesso per motivi personali escludesse il nesso di causalità tra l’infortunio e l’attività lavorativa, ancorché nel caso di specie il permesso fosse stato ottenuto per esigenze familiari”.
Di avviso totalmente diverso la Suprema Corte, per la quale “non può condividersi l’affermazione contenuta nella sentenza impugnata secondo cui la fruizione di un permesso di lavoro per motivi personali interromperebbe ex se il nesso rispetto all’attività lavorativa, con conseguente non indennizzabilità dell’evento infortunistico verificatosi nel percorso normale per rientrare al lavoro”.
Per i Giudici della Cassazione, infatti, “il permesso costituisce una fattispecie di sospensione dell’attività lavorativa nell’interesse del lavoratore che ontologicamente non è differente dalle pause o dai riposi, differenziandosi da questi ultimi soltanto per il suo carattere occasionale ed eventuale a fronte del connotato di preriodicità e prevedibilità che è tipico degli altri, e non potendo logicamente sostenersi che il lavoratore che si allontani dall’azienda e/o vi faccia ritorno in relazione alla necessità di fruire del riposo giornaliero non sia tutelato «durante il normale percorso di andata e ritorno dal luogo di abitazione a quello di lavoro»”, giusta il disposto dell’art. 2, comma 3, del T.U. 1124/1965.
La Suprema Corte ha ribadito, inoltre, come da giurisprudenza consolidata, che il rischio elettivo in grado di escludere l'indennizzabilità dell'infortunio vale solo in quei casi in cui "il lavoratore, in base a ragioni o impulsi personali, abbia compiuto una scelta arbitraria che abbia comportato la necessità di affrontare una situazione diversa da quella inerente al c.d percorso normale tra casa e lavoro."
Non essendosi la Corte territoriale attenuta ai suesposti principi di diritto - concludono i Giudici - la sentenza impugnata va cassata e la causa rinviata per un nuovo esame alla Corte d’Appello di Venezia, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di cassazione.