Costa la perdita del posto di lavoro a un dipendente di un’azienda della Regione Campania che, pur essendo in malattia, scende comunque sul rettangolo di gioco per partecipare, con la sua squadra, a una partita di campionato di calcio dilettantistico.
L’azienda datrice di lavoro, infatti, venuta a conoscenza della vicenda, previa contestazione dell’addebito disciplinare al proprio dipendente, intimava al medesimo il licenziamento per avere, durante l’assenza per malattia, violato i doveri di correttezza, lealtà e diligenza, in particolare per aver partecipato a una partita di calcio del torneo di prima categoria della Regione Campania, rientrante nella fattispecie disciplinare di cui all'art. 45, n. 2, R. D. n. 148/1931(che prevede la destituzione per chi adopera artifici per procurarsi vantaggi indebiti, ancorché non ne siano derivati inconvenienti di servizio), piuttosto che nella fattispecie di cui all'art. 42, che punisce con sanzione conservativa la simulazione di malattia.
La Corte di Cassazione - sezione Lavoro - adita dal dipendente dopo la pronuncia sfavorevole nei di lui confronti emessa in data 11 marzo 2020 dalla Corte d’appello di Napoli di conferma della legittimità del licenziamento - con ordinanza n. 23852, pubblicata il 5 settembre 2024, rigettava il ricorso proposto dal medesimo dipendente, così ponendo fine alla vicenda.
I Giudici della Suprema Corte, nel richiamare numerosa giurisprudenza della medesima Corte, ribadiva che “il compimento di altre attività da parte del dipendente assente per malattia non è circostanza disciplinarmente irrilevante, ma può anche giustificare la sanzione del licenziamento, in relazione alla violazione dei doveri generali di correttezza e buona fede e degli specifichi obblighi contrattuali di diligenza e fedeltà, sia nell'ipotesi in cui la diversa attività accertata sia di per sé sufficiente a far presumere l'inesistenza dell'infermità addotta a giustificazione dell'assenza, dimostrando quindi una sua fraudolenta simulazione, sia quando l'attività stessa, valutata in relazione alla natura ed alle caratteristiche della infermità denunciata ed alle mansioni svolte nell'ambito del rapporto di lavoro, sia tale da pregiudicare o ritardare, anche potenzialmente, la guarigione e il rientro in servizio del lavoratore”.
In conclusione, ricorso respinto e condanna per il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio e al versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato.
Rocco Tritto