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Sabato, 11 Mag 2024

Il 16 febbraio scorso, qui sul Foglietto avevamo scritto in merito allo stadio della Roma, una vicenda che sembrava aver assunto importanza vitale per le sorti nazionali, tanto da far scrivere a qualcuno che “nei 9 anni successivi alla realizzazione del progetto si genererà un aumento cumulato del Pil di circa 18,5 miliardi, pari all’1,5% del Pil provinciale. L’occupazione aumenterebbe di 12.500 unità di lavoro”.

Da non crederci!

A "salvare" le sorti capitoline, superato un lieve malore, ci ha pensato la sindaca pentastellata - dopo aver raggiunto un accordo con i rappresentanti dell’A.S. Roma e con il costruttore Parnasi - a comunicare urbi et orbi la lieta novella: «Nuovo progetto 2.0. Si tratta in pratica di un nuovo progetto ecocompatibile ed ecosostenibile. Da un milione di cubature (1.198.800, ndr) siamo scesi di oltre la metà, addirittura del 60% per la parte relativa al Business Park, abbiamo elevato gli standard di costruzione a classe A4, la più alta al mondo, metteremo in sicurezza il quartiere di Decima che non sarà più soggetto ad allagamenti, eliminate le torri ci saranno edifici bassi rispettosi” (al posto delle torri ci saranno 18 edifici di 7 piani, ndr) e poi ha aggiunto “Avevamo detto che lo stadio si sarebbe fatto nel rispetto della legge e lo abbiamo ottenuto, grazie anche alla disponibilità della nostra controparte, ora alleata per andare avanti in un progetto ecosostenibile e nell’interesse dei cittadini».  

Ma le cose stanno proprio così? Non si direbbe, in quanto i metri cubi “rimasti”, in caso di dimezzamento, sarebbero pari a 598mila, contro i 220mila consentiti dal Piano regolatore vigente. L’investimento privato per lo stadio della Roma cala da 1,7 miliardi a quasi un miliardo. La capienza dello stadio passa da 60mila a 52-55mila posti. Il valore delle opere pubbliche connesse, a carico dei proponenti, scende da 440 milioni a circa 330 milioni.

L'accordo - a quanto trapela, ma non è stato pubblicato nulla di ufficiale - prevede nel dettaglio il taglio o la realizzazione in un momento successivo di quasi tutte le opere pubbliche necessarie a garantire l’accesso all’opera. Tanto da far dire a Umberto Cao, già professore ordinario di Composizione Architettonica e Urbana all’Università di Camerino che “50.000 persone si troveranno ad accedere allo stadio con mezzo privato solo dalla Via del Mare e con mezzo pubblico solo dalla Roma-Lido”. Un punto di vista condiviso dall'Osservatorio Stadio della Roma, organismo cui aderiscono numerosi Comitati di Quartiere, attivi nella vasta area interessata dall’opera.

A chi scrive, sembra che vecchio e nuovo accordo non solo non siano affatto vantaggiosi per la città ma, soprattutto, non siano affatto rispettosi delle norme sancite dal già citato Piano regolatore. Un'opinione condivisa con l'Istituto nazionale di urbanistica (Inu) che, in un documento della sezione Lazio, afferma "E' stato un errore confondere lo stadio con i grattacieli e metterli insieme sulla riva del Tevere. La Valle del Tevere va tutelata: non ammette operazioni così invadenti. E' stato un errore stravolgere il Prg invertendo il principio sacrosanto dell'uso pubblico della rendita che per i due terzi deve tornare alla città. Principio stabilito dal Piano Regolatore vigente dal 2008 e poi divenuto norma nazionale ... lo Stadio nel luogo dove un tempo c'era un galoppatoio, potrebbe farsi, purché nel rispetto del Piano Regolatore, tutelando e valorizzando le qualità ambientali e paesaggistiche".

Né, tantomeno, il progetto sarebbe rispettoso di quella Carta di Firenze sottoscritta dai pentastellati, con la quale promettevano di non aggiungere nuove cubature nelle città da loro governate, ma di recuperare l'esistente.

L'Inu ricorda, poi, che con un progetto siffatto si è voluta realizzare una nuova 'centralità', “in spregio al Prg. Le centralità, infatti, dovrebbero spostare attività e servizi di alto livello nelle periferie che ne sono prive, ma l'area di Tor di Valle è vuota, non è una periferia urbanizzata. Così, oltre ad essere sbagliata dal punto di vista ambientale, la pretesa centralità è soprattutto sbagliata dal punto di vista urbanistico perché propone solo pesi insediativi aggiuntivi nel posto sbagliato”. Perciò, occorre rivedere drasticamente l'impianto del progetto, “guardando alla città e all'intero ambito urbano, più ancora che allo Stadio".

Sempre secondo l'Inu, se proprio “il Comune e la sua Avvocatura dovessero riconoscere che la delibera votata nel dicembre 2014 configura diritti acquisiti da parte della Società privata (circostanza di cui è lecito dubitare) allora e, solo allora, la concessione della edificabilità per uffici, necessaria a completare il finanziamento delle opere pubbliche, potrebbe essere spostata in altre aree, previste dal Prg e servite dal trasporto pubblico su ferro. Nonostante tutto è ancora possibile evitare quello che sarebbe un disastro ambientale e urbanistico, purché si abbiano come guida una visione complessiva della città e gli strumenti di pianificazione che la rappresentano".

A quanto pare, sono proprio questi gli elementi che mancano alle forze politiche capitoline: un'idea di città, un progetto per Roma, una conoscenza adeguata degli strumenti di pianificazione disponibili.

Se tutto ciò ci fosse stato, ci si sarebbe resi conto che la scelta di quell'area, già “complicata” sul piano della viabilità, trasportistico e idrogeologico, non è assolutamente adatta ad una funzione così pesante dal punto di vista urbanistico. Se proprio lo stadio si doveva fare, se ci fosse stata una buona conoscenza dell'urbanistica romana, si poteva controdedurre ai proponenti che, disponendo di un'area extra-GRA, in località Pescaccio, sulla quale è prevista la realizzazione del più grande centro commerciale d'Europa, ben avrebbero potuto realizzare lo stadio e le cubature annesse in quel sito.

Così pure, se si avesse una buona conoscenza dello stato in cui versa la ferrovia Roma-Lido, ci si renderebbe conto che l'afflusso di tifosi non potrà che peggiorarne le condizioni.

Nei giorni scorsi, si è espressa contro il progetto anche la Sovrintendenza “perderemo un esempio rilevante di architettura contemporanea”: la tribuna progettata da Julio Garcia Lafuente per l'ippodromo, perché il progetto, in deroga al piano regolatore e alla Carta per la qualità del piano, che censisce l’ippodromo tra i beni di interesse urbano, “non risulta conforme alle norme paesaggistiche vigenti”; è concepito “senza la cognizione effettiva dei valori e delle problematiche legate alla conoscenza del territorio”. Ma non basta, la sovrintendenza ricorda che occorre una variante al Piano regolatore, che consenta di edificare una cubatura più che doppia rispetto a quella attualmente consentita dal Prg stesso. Variante che dovrebbe essere approvata da Roma Capitale, prima della conclusione della conferenza dei servizi, e non dopo, così come andrebbero approvate prima sia la VAS che la VIA, qualora ancora non ci fossero.

Dimenticanze che ci ricordano che ormai da decenni pianificazione territoriale e tutela del paesaggio e del patrimonio difficilmente si coniugano.

Quanto al rischio idrogeologico, nel parere della Sovrintendenza si ricorda che “storicamente l’ansa di Tor di Valle costituisce area di esondazione del fiume Tevere”. Mentre gli interventi previsti sul fosso di Vallerano, per ridurre il rischio esondazioni, modificherebbero in quel tratto la “morfologia naturale dell’alveo” dello stesso Tevere.

Parere negativo anche dai “comitati tecnico-scientifici per le Belle arti, il paesaggio, l’archeologia, l’arte e l’architettura contemporanea”, perché tra l’altro “non risulta ancora attivata la procedura di verifica preventiva dell’interesse archeologico, richiesta più volte dalla competente Soprintendenza, mentre in allegato al progetto non è stato presentato uno studio delle interferenze tra le nuove opere e le evidenze archeologiche”. Quanto all’ippodromo, secondo i comitati, è “inaccettabile” anche la proposta di demolirlo lasciando in piedi "qualche campata delle tribune, soluzione che pure è stata ipotizzata come alternativa alla demolizione dell’intero complesso”.

Una vicenda, questa dello stadio giallorosso, che ci dimostra che nulla è cambiato sotto il sole di Roma, nonostante vi sia un Piano regolatore vigente da appena 9 anni, si continua a seguire il metodo dell'urbanistica contrattata, sulla base dei bisogni dei costruttori anziché delle esigenze della città, si ignora il principio dell'urbanistica partecipata, sancito dal nuovo Prg per decidere progetti fortemente impattanti nelle segrete stanze. Si continua a parlare di diritti edificatori dei proponenti, nonostante autorevoli pareri come quelli dell'urbanista Edoardo Salzano o dell'amministrativista Vincenzo Cerulli Irelli, pubblicati su Eddyburg, si continua a pensare di dare servizi o risolvere problemi solo rilasciando nuove concessioni edilizie.

Insomma, la rendita fondiaria ancora una volta sembra avere più peso delle regole e delle procedure.

Ora, entro il 30 marzo, grazie all'intervento di associazioni come Italia Nostra, ci si è ricordati che, in base alla legge vigente, la conferenza dei servizi sul progetto va chiusa.

Speriamo che, nel frattempo, chi governa la città ci ripensi. In fondo, uno stadio a Roma c'è, è l'Olimpico, e non c'è nessuna  urgenza di farne un altro in un posto sbagliato a meno che, ancora una volta, non si vogliano far prevalere su tutto gli interessi della rendita fondiaria.

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