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Sabato, 13 Dic 2025

Sempre scorrendo il 5° Rapporto sui crimini agroalimentari in Italia, scopriamo che negli ultimi anni i nostri agricoltori sono diventati vittime di ogni genere di furto, dall’abigeato alla sottrazione di prodotti agricoli e di attrezzature. Una drammatica impennata di fenomeni criminali che colpiscono e indeboliscono il settore.

Depredando le aziende, la malavita organizzata riesce in molti casi a condizionare in modo diretto l’attività agricola. Non si tratta di poca cosa, ma di furti di interi carichi di olio o frutta e depositi di vino o altri prodotti, intere mandrie o trattori caricati su pullman di grandi dimensioni, alberi abbattuti, file di alveari sottratti. Senza scendere nei dettagli, non è esagerato affermare che tutto il territorio nazionale testimonia del sempre più violento e organizzato attacco della criminalità ad aziende agricole e allevamenti.

Al riguardo, occorre sottolineare come la criminalità organizzata che opera nelle campagne rappresenti una minaccia particolarmente temibile, dato che, a differenza di quella urbana, può contare sulle condizioni di isolamento degli agricoltori e sulla mancanza di presidi di polizia immediatamente raggiungibili e attivabili.

E’ perciò fondamentale, secondo il Rapporto, adoperarsi per il superamento della condizione di solitudine, invertendo la tendenza allo smantellamento dei presìdi delle Forze di sicurezza presenti sul territorio, ma anche incentivando il ruolo delle associazioni di rappresentanza attraverso il confronto e la concertazione con la pubblica amministrazione.

Per prevenire ulteriori danni irreparabili al tessuto agricolo nazionale, obiettivi immediati da conseguire prima possibile devono essere controlli, cooperazione e videosorveglianza. Da parte loro, i cittadini possono contribuire a contrastare il fenomeno evitando di acquistare da chi vende senza regole, spacciando per propri prodotti senza identità e indicazioni di provenienza.

Sta di fatto che le mafie stanno penetrando in modo sempre più capillare nell’economia legale, non solo condizionando parti della filiera agricola, sia produttiva che commerciale, ma anche entrando nelle case degli italiani attraverso pratiche illegali e pericolose per la salute dei consumatori, rappresentate da frodi alimentari, sofisticazione di materie prime e prodotti, macellazione clandestina, ecc. Tra tutti i settori agro mafiosi, quello della ristorazione è forse il comparto immediatamente percepito come tipico del fenomeno. Peraltro, acquisendo e gestendo direttamente o indirettamente gli esercizi ristorativi le organizzazioni mafiose hanno anche la possibilità di riciclare il denaro frutto delle loro attività illecite.

In questo contesto, si inserisce la questione dei prodotti tipici italiani, venduti come tali ma realizzati altrove e, per di più, in modo non controllato, con tutti i rischi che ne derivano per milioni di consumatori. Esempio emblematico, ma poco conosciuto, è quello dei legumi: cannellini, fagioli e ceci, apparentemente italiani ma prodotti in Cina o in altre parti del mondo. Si tratta di un trend iniziato negli anni Cinquanta, quando la produzione agricola dei legumi ha iniziato a ridursi in quanto poco redditizia, aprendosi così un’importante fetta di mercato che è stata coperta da altri paesi.

Al culmine del paradosso, grazie a una strategia che mortifica imprese, lavoratori e l’intero Paese, la parola “mafia” (talvolta con due effe) ha finito per diventare un brand per pubblicizzare prodotti alimentari che vengono venduti in Europa, nel mondo e persino da noi. Dal marketing con la coppola si passa alla contraffazione, con danni economici e di immagine soprattutto nei mercati emergenti, dove il falso è più diffuso del vero e condiziona negativamente le aspettative dei consumatori.

Tutto questo mentre, praticamente ovunque, dal Messico all’Egitto, dagli Stati Uniti alla Macedonia, si trovano ristoranti e pizzerie “Cosa Nostra”; a Phuket, in Tailandia c’è addirittura un servizio take away.

Insomma, oltre al danno la beffa.

4 - continua

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