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Giovedì, 18 Apr 2024

Nel baillamme di petizioni che imperversa in rete, da cui emerge la voglia dei cittadini di partecipare a correggere scelte sbagliate di chi ci governa, abbiamo letto sbalorditi su Change.org una petizione al Consiglio dei ministri, promossa da Alessandro Reda, per bloccare le “terapie” riparative contro l’omosessualità.

Pensavamo che il mondo fosse andato avanti da quel lontano 1886, quando il noto sessuologo Richard von Krafft-Ebing, nel suo Psychopathia Sexualis, inserì l'omosessualità in una lista di altre 200 “pratiche sessuali deviate” da curare. Una visione che venne confermata dalla prima edizione del Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, pubblicata nel 1952 dall'American Psychiatric Association (APA), che classificava l'omosessualità come una malattia mentale e, come tale, da curare, secondo i canoni della psichiatria del tempo, anche con pratiche cruente come l’elettroshock.

Solo nel 1973, dopo un'intensa pressione da parte dei gruppi gay, alla luce di nuove informazioni scientifiche e del dissenso nella classe psichiatrica, l'APA tolse l'omosessualità dalla lista delle malattie mentali.

Oggi, la “Classificazione Internazionale delle Malattie (ICD-10)” dell'Organizzazione Mondiale della Sanità stabilisce che «l'orientamento sessuale in sé non deve essere considerato come una malattia».

Nel 2010, in Italia è stato pubblicato L’omosessualità non è una malattia da curare, un documento - sottoscritto da psicologi, psichiatri, psicoterapeuti, psicoanalisti, studiosi e ricercatori nel campo della salute mentale e della formazione - per condannare ogni tentativo di patologizzare l'omosessualità, affermando che "qualunque trattamento mirato a indurre il/la paziente a modificare il proprio orientamento sessuale si pone al di fuori dello spirito etico e scientifico", una posizione condivisa dal Consiglio Nazionale dell’Ordine degli Psicologi (CNOP).

Ciononostante, scopriamo che questo nuovo orientamento, così ampiamente diffuso tra gli scienziati, non è affatto recepito nel nostro ordinamento con una legislazione chiara, in grado di impedire trattamenti impropri, che implicano l’uso devastante, specialmente per la salute mentale di un bambino, di psicofarmaci.

E dire che un deputato del Pd, Sergio Lo Giudice, nel 2016, ci aveva provato e aveva presentato un disegno di legge per vietare le cosiddette terapie riparative.

Ma la ministra Lorenzin non si è mossa neppure quando fu chiamata in causa dal Comitato “Giù le mani dai bambini”, nella persona di Luca Poma, che dichiarava: “Nel novembre 2015 il Ministro della Salute On. Beatrice Lorenzin aveva annunciato l’apertura di un tavolo tecnico di consultazione per valutare l’eventuale stesura di linee guida più stringenti sulla somministrazione di queste molecole (psicofarmaci e antidepressivi, ndr.) a bambini e adolescenti: ad oggi, ancora un nulla di fatto… mentre i più piccoli continuano ad essere colpevolmente esposti al rischio di effetti collaterali potenzialmente pericolosi, inclusa l’induzione al suicidio!“.

Un’istanza ripresa, con una lettera al Ministro della Salute, dall’eurodeputato Piernicola Pedicini del M5S, affinché prendesse una posizione chiara su questi trattamenti con psicofarmaci a base di paroxetina, fluoxetina, sertalina e venlafaxina, che provocano gravi danni alla salute dei piccoli.

In quell’occasione, allo stesso eurodeputato, un’altra missiva, di analogo tenore, venne inviata al Direttore generale dell’AIFA, Luca Pani, per sapere quali fossero stati i risultati e le conclusioni raggiunte dal tavolo tecnico di monitoraggio sull’uso degli psicofarmaci contenenti le suddette sostanze, attivato presso il Ministero della Salute a seguito delle precedenti e numerose segnalazioni.

L’On. Pedicini, era il 6 novembre 2015, scriveva “Le mie preoccupazioni e quelle delle tante famiglie, nascono dal significativo aumento clinico di comportamenti violenti, inclusa l’ideazione suicidaria, il comportamento suicida ed altri eventi avversi, negli adolescenti in cura. L’aumento clinico degli eventi avversi è stato altresì evidenziato dallo studio Pubblicato sul British Medical Journal dal titolo “Restoring study 329: efficacy and harms of paroxetine and imipramine in treatment of major depression in adolescence”.

A riprova di queste allarmanti affermazioni, l’On. Pedicini riportava anche una ricerca scientifica, condotta su 18.256 pazienti, dal Nordic Cochrane Centre di Copenaghen in cui si evidenziava il rischio del suicidio.

Ma Lorenzin sembra non abbia mai risposto né alle lettere della Associazioni dei genitori, né all’eurodeputato, né tantomeno si è adoperata affinché venisse calendarizzato l'esame del Ddl Lo Giudice; anzi, il Ministero della Salute approvava il farmaco Dr. Reckeweg R20 come cura per l’omosessualità femminile che, stando a quanto scritto sul bugiardino contenuto nella confezione, curerebbe, tra le altre cose: “depressione, complesso di inferiorità, impotenza, frigidità femminile, tendenze lesbiche”.

Che la ministra Lorenzin avesse uno sguardo volto al passato lo avevamo capito nel corso di questi ultimi cinque anni da molte posizioni espresse, da quelle del fertility day a quelle sulle droghe leggere, allo sdoganamento di professioni che di sanitario hanno ben poco e molto altro.

Scopriamo, da questa petizione che, ancora oggi, nel 2018, per qualche sacerdote, medico (psichiatra, psicologo o analista che sia) l'omosessualità è una malattia e, per questo, si mettono in atto - soprattutto nei confronti dei minori, che non possono esprimere la loro volontà - tecniche per cercare di curare il "paziente" con le cosiddette terapie di conversione dell'orientamento sessuale. Falsi guaritori che speculano sulla credulità altrui, facendo danni ai bambini, grazie alla sordità e all’inettitudine di una classe politica distratta o inconsapevole.

Insomma, per ora, in attesa che la politica intervenga al più presto, non ci resta che sottoscrivere questa petizione.

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