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Sabato, 13 Dic 2025

Negli ultimi 20 anni, la numerosità dei nuclei familiari è passata da 20 milioni scarsi, nel 1995, a oltre 25 milioni, nel 2016, per effetto sia dell’incremento della popolazione (quasi 4 milioni di persone) sia della diminuzione del numero medio di componenti (da 2,88 a 2,32).

Ma le disuguaglianze tra i gruppi sociali sono rimaste pressoché inalterate: la distanza tra chi sta bene e chi se la passa peggio non si è attenuata, come se si fosse cristallizzata al livello raggiunto alla metà degli anni '90. È quanto emerge da uno studio condotto sui dati dell’Indagine sui Bilanci delle famiglie della Banca d'Italia, che aiuta anche a inquadrare meglio l’esito delle ultime elezioni politiche.

La società italiana è caratterizzata da gruppi sociali ben delineati, che si distinguono per condizione professionale e titolo di studio, ma anche per cittadinanza, numerosità del nucleo o altre caratteristiche. Nel Rapporto Annuale 2017, l’Istat ha classificato le famiglie italiane in 9 gruppi, nel presupposto che “tutti i componenti di una stessa famiglia partecipano allo stesso sistema di risorse, condividendole, e occupando quindi la medesima posizione all’interno dello spazio sociale”. Nella scala dei redditi si va dalle famiglie a basso reddito con stranieri o a quelle di soli italiani, per finire alla “classe dirigente”. Un analogo sistema di classificazione è stato replicato sul campione di famiglie dell’indagine sui Bilanci delle famiglie italiane di Bankitalia.

Il gruppo più numeroso, anche se nel tempo si va riducendo, è quello formato in prevalenza da ex operai in pensione (22,9%), seguito dalle famiglie di impiegati (in leggero aumento al 15,6%). Le 5 tipologie con un reddito più basso raccolgono complessivamente poco meno del 50% delle famiglie; dal 1995 a oggi sono fortemente aumentati i nuclei di stranieri (da 0,4% a 7,6%), mentre cedono importanza le famiglie a basso reddito di italiani (da 11,5% a 7,3%) e quelle tradizionali (da 11,2% a 4,5%). E’ cresciuta nel tempo la classe dirigente, in cui sono ricomprese il 7,2% delle famiglie italiane. Le famiglie a basso reddito di stranieri sono maggiormente concentrate al nord (62%) rispetto al sud (16%) e rappresentano l’82% dei nuclei il cui capofamiglia non è italiano. Nel Sud sono presenti in misura percentuale superiore alla media le famiglie a basso reddito di italiani (55%), tradizionali (44%) e il gruppo di anziane sole e giovani disoccupati (41%), mentre scarseggiano gli appartenenti alla classe dirigente.

Il reddito familiare non è ripartito equamente tra i gruppi sociali. La classe dirigente possiede una quota di reddito doppia rispetto alla popolazione che rappresenta, mentre le famiglie a basso reddito di italiani e quelle di stranieri sono quelle che scontano uno svantaggio maggiore tra popolazione e reddito. Le differenze sono ancora più accentuate in termini di ricchezza, caratterizzata soprattutto dal possesso di immobili, che prevale nei gruppi benestanti e a maggior presenza di anziani. Il 7,4% di componenti dei nuclei familiari della classe dirigente possiede quasi il 20% della ricchezza complessiva (12 punti di scarto), mentre all’8% del gruppo a basso reddito di stranieri spetta solo lo 0,7% (-7,3 punti di scarto) e al 13,4% di quello a basso reddito di italiani il 6% (-7,4 punti di scarto).

Anche la composizione del reddito riflette le disuguaglianze tra gruppi sociali. Nelle famiglie a basso reddito di stranieri prevale il reddito da lavoro dipendente, mentre quelle di anziane sole e disoccupati traggono il loro sostentamento dai trasferimenti e dalle rendite del capitale immobiliare. La propensione al consumo diminuisce all’aumentare del livello di benessere economico.

L’evoluzione del reddito equivalente (reddito familiare corretto per le economie di scala) mostra che le distanze tra i gruppi sociali sono nette e che negli ultimi venti anni le differenze di classe si sono cristallizzate. La classe dirigente ha un reddito equivalente doppio rispetto alla media e pari a 4 volte quello delle famiglie di stranieri a basso reddito e 3 volte quello degli italiani a basso reddito. Gli altri gruppi benestanti sono le Pensioni d’argento e gli Impiegati, mentre tutti gli altri mostrano valori inferiori alla media. Non desta, quindi, meraviglia che le famiglie in condizioni di povertà relativa, che sono circa il 20% del totale, siano maggiormente concentrate nei gruppi di stranieri a basso reddito (47%), di italiani a basso reddito (43%) e tradizionali (35%). La cristalizzazione delle disuguaglianze è effetto della pesante recessione subita dall’Italia, ma anche dell’evoluzione nella consistenza numerica dei gruppi.

L’ultimo ventennio, in cui il reddito equivalente delle famiglie è cresciuto mediamente del 3,8% in termini reali, può essere scomposto in due sottoperiodi. Tra il 1995 e il 2006, si è registrata una crescita del 16,8%, che ha interessato, seppure con diversa intensità tutti i gruppi sociali. Il decennio tra il 2006 e il 2016, caratterizzato dalla grande crisi finanziaria ha visto, invece, un arretramento del reddito equivalente dell’11,1%. Il saldo è risultato favorevole alle famiglie di operai in pensione (+8,9%), mentre a rimetterci maggiormente sono state le famiglie a basso reddito di stranieri (-17,1%). Anche la classe dirigente ha subìto una flessione, ma è aumentata di dimensione, cioè nel frattempo la platea dei privilegiati è cresciuta.

La scomposizione in gruppi sociali delle famiglie italiane, applicata all’indagine sui Bilanci delle Famiglie italiane della Banca d’Italia, offre quindi interessanti spunti di riflessione. Il titolo di studio conseguito, che consente di ottenere una migliore situazione professionale, appare la discriminante principale per suddividere i nuclei familiari in gruppi sociali che presentano un livello di reddito maggiormente omogeneo al loro interno. Le differenze esistenti nel 1995 non si sono attenuate nel corso dei venti anni successivi, in cui si sono alternati un periodo di crescita economica e uno di recessione, che hanno visto un ulteriore rafforzamento della classe dirigente a danno dei gruppi con minor reddito e ricchezza, maggiormente esposti alla condizione di povertà ed esclusione sociale.

Maggiori investimenti in capitale umano destinati ai gruppi sociali più svantaggiati potrebbe rappresentare il rimedio per eliminare o, quanto meno, ridurre in futuro, le attuali disuguaglianze.


Reddito equivalente a prezzi costanti(*) per gruppo sociale – Anni 1995-2016 (valori in euro a prezzi 2010)
fig gruppisociali
Fonte: Elaborazioni su indagine Bilanci delle Famiglie, anni vari (Banca d’Italia) – (*) E’ stato utilizzato il deflatore dei consumi delle famiglie calcolato dall’Istat

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