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Mercoledì, 24 Lug 2024

Nel corso del congresso nazionale della Società Italiana di Andrologia, appena conclusosi a Roma, gli studiosi presenti hanno lanciato l’allarme sui rischi per la fertilità maschile derivanti dall’inquinamento. Un dato che emerge, in particolare, da uno studio italiano sul liquido seminale di uomini che vivono in aree gravemente compromesse dall’inquinamento, come la Terra dei fuochi (che va dalla provincia di Napoli a quella di Caserta) o Taranto.

Che l’inquinamento fosse una delle cause del vertiginoso aumento di infertilità maschile era un fatto noto.

Nello studio presentato al suddetto congresso di andrologia si stima che nel corso degli ultimi cinquanta anni vi sia stato un dimezzamento della fertilità maschile. Un calo del 50% determinato dall’inquinamento che agisce sulla vitalità degli spermatozoi e sulla loro mobilità.

Ma non basta, alcuni inquinanti modificano anche la struttura del DNA. “Il problema insomma – spiega il responsabile dello studio Luigi Montano, Uroandrologo dell’Asl di Salerno e Presidente della Società Italiana di Riproduzione Umana – non riguarda solo i soggetti esposti, che rischiano di essere più vulnerabili a diverse patologie, ma le nuove generazioni”.

Il dottor Luigi Montano già da qualche anno ha avuto l’intuizione che si potessero prendere in esame gli spermatozoi come marker di esposizione ambientale, trasformando, così, gli studi sulle cause dell’infertilità in efficaci strumenti di monitoraggio, sorveglianza e prevenzione nelle aree a rischio.

È nato, così, il progetto EcofoodFertility che, partito da Acerra, in piena zona della Terra dei fuochi, oggi coinvolge diverse istituzioni ed università italiane ed europee. “il seme maschile ci permette di monitorare gli effetti dell’inquinamento sulla fertilità – spiega Montano, che aggiunge –, ma anche sulla salute in generale, per esempio l’aumento dello stress ossidativo e dell’infiammazione”. Insomma, il seme maschile è una sentinella della salute ambientale e delle persone.

I ricercatori italiani, coordinati da Montano, hanno misurato i livelli di inquinamento atmosferico – in particolare, da benzene e particolato PM10 e PM2.5 – in diverse aree e l’hanno messo in correlazione con i livelli di frammentazione del DNA spermatico di oltre 300 soggetti. Ebbene, tali livelli nelle aree più compromesse dal punto di vista ambientale, come Taranto e la Terra dei fuochi, sono risultati superiori del 30% rispetto a quelli delle aree di controllo di Palermo e Salerno.

Lo studio - a cui hanno partecipato docenti e ricercatori delle università di Palermo e Salerno nonché centri per la riproduzione di Taranto, Palermo, Gragnano e Catania è stato pubblicato sulla rivista Environmental Toxicology and Pharmacology - apre un nuovo filone di ricerca, nuove prospettive che trovano conferma anche in altri studi, “Una recente ricerca cinese conferma gli effetti dell’inquinamento sulla morfologia degli spermatozoi, mentre un gruppo di ricercatori canadesi ha dimostrato gli effetti dell’inquinamento sul DNA – spiega Montano – ma la nostra ricerca apre uno scenario ancora più preoccupante, mostrando come le polveri sottili e altri inquinanti possano modificare l’espressione di molti geni aprendo la strada a varie patologie”.

Ecofoodfertility intende anche fare prevenzione, “chi vive in zone a rischio deve prendere precauzioni – spiega Montano – per esempio, seguendo un’alimentazione adeguata, ricca di vegetali antiossidanti”.

Talvolta, da uno studio ne nascono altri, da questo è derivato un progetto pilota, sostenuto dal ministero della Salute. che si prefigge di salvaguardare la qualità del seme negli adolescenti, attraverso interventi sulla nutrizione e, in generale, sullo stile di vita, in tre aree ad alto impatto ambientale nel frusinate, nel bresciano e nella Terra dei Fuochi.

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