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Mercoledì, 24 Lug 2024

Senza i ragazzi come lui, i nuovi schiavi. Chissà quanta frutta e verdura non arriverebbe sulle nostre tavole, perché, se è vero che a sud c’è tanta disoccupazione, quanti sarebbero disposti ad andare a lavorare in quelle condizioni e per un salario che raramente raggiunge i tre euro l’ora? Ben che vada, venti trenta euro per quindici ore di lavoro al giorno, qualunque siano le condizioni climatiche. Senza contare quanto si trattengono i caporali.

Ma non basta, anche se con regolare permesso di soggiorno o riconoscimento del diritto di asilo, nessuno, o quasi, ha un regolare contratto di lavoro. A nessuno sono riconosciute condizioni di accoglienza degne di un essere umano.

Ma per Salvini questa è “una pacchia”.

Insomma, tutti sanno quali sono le condizioni di lavoro di queste persone ma nessuno ammette che si tratti di una moderna forma di schiavismo. Tutt’altro, c’è chi osa dire che nel sud povero tutti i benefit vanno ai migranti.

E il lavoro nelle campagne non è che la punta dell’iceberg della moderna economia globale, i nuovi schiavi sono impiegati quasi in ogni bene o servizio che acquistiamo.

Neoschiavi, come lo furono i milioni di migranti italiani nel mondo, di cui oggi nessuno ha più memoria, visto che ostracizza chi viene qui in fuga da guerre e fame, proprio come fecero i paesi che accolsero gli emigrati italiani.

Vecchi e nuovi “innovatori” hanno dedicato qualche parola a questo eroe moderno solo a distanza di molte ore dall’omicidio. E dire che una volta le lotte contro il caporalato erano giustamente l’orgoglio di chi rivendicava diritti e dignità dei lavoratori.

E noi che facciamo? Noi antirazzisti, noi democratici, magari ci commuoviamo dinanzi alle vicende di film e fiction come Radici che narra le vicende di Kunta Kinte ma, poi non vediamo i tanti eroi dei nostri giorni. Quando acquistiamo del cibo, quanti di noi si chiedono da chi e in quali condizioni di lavoro esso è stato prodotto?

Soumayla Sacko era un sindacalista dei nuovi schiavi, era uno dei pochi che ha avuto il coraggio di occuparsi di loro, di rivendicarne i diritti a muso duro dinanzi a padroni e padroncini o, forse, dovremmo dire mafiosi e caporali mafiosetti. Veniva dal Mali, dove aveva la moglie e una figlia di cinque anni, era in Italia dal 2010 dove viveva in una baraccopoli a San Ferdinando, in provincia di Reggio Calabria, che ospita migliaia di persone, aveva rischiato di morire già tre volte. La prima, per mala sanità, un’ulcera perforata scambiata per mal di pancia e le altre due volte era scampato ad un incendio.

Lottava solitariamente contro la mafia dei nuovi negrieri, che sfruttano chi fugge da guerre e carestie.

Non sappiamo cosa farà il nuovo governo per migliorare le condizioni di vita di queste persone. Temiamo, e le affermazioni quotidiane di Salvini rafforzano questo nostro convincimento, un futuro ancora più buio per le persone come Soumayla.

Purtroppo, sappiamo cosa non ha fatto la cosiddetta sinistra: una legge sul caporalato debole ed inefficace in assenza di ispettori del lavoro; ha lasciato che restassero in piedi le baraccopoli dove si vive in condizioni disumane, al massimo ha fornito qualche tenda, piuttosto che alloggi dignitosi.

Secondo il Rapporto I dannati della terra di Medici per i diritti umani (Medu) «nella Piana di Gioia Tauro più di 3.000 persone vivono tra cumuli di immondizia, dormono su materassi posizionati per terra sull’erba o su vecchie reti, usano per i bisogni latrine fatiscenti. Bruciano plastica bruciata per potersi scaldare».

Soumayla non è, né sarà, l’ultima vittima di un sistema omertoso e indifferente, che lo ha eliminato perché colpevole di rivendicare diritti sacrosanti per sé e per i propri compagni di sventura.

Un eroe come quei tanti sindacalisti uccisi tra il 1911 e il 1982; 53 nella sola Sicilia dal 1944 al 1960.

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