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Martedì, 19 Mar 2024

Alessandro Venieri, geologo, ha lavorato per sei anni al Magistrato per il Po di Parma occupandosi di sistemazioni idrauliche e servizi di piena; poi, un breve periodo alle Opere Marittime di Ancona e, quindi, per 15 anni alla Provincia di Teramo curando, in materia di Protezione Civile, il Programma Provinciale di Previsione e Prevenzione dei Rischi (che contiene gli studi prodotti dall’INGV, a seguito della convenzione con la Provincia per gli aspetti legati al rischio simico). Dal 2015 ad aprile del 2022, ha lavorato presso la Regione Abruzzo occupandosi di concessioni di derivazioni d’acque e aree demaniali e, a maggio del 2022, è stato trasferito presso l’Agenzia Regionale di Protezione Civile, sempre della Regione Abruzzo.

Nei giorni scorsi, ha destato clamore a livello nazionale, con articoli di giornali e servizi televisivi, la sentenza del Tribunale Civile di L’Aquila, n.676 del 11 ottobre 2022, definita da molti “choc”, riferita al crollo del palazzo di via Campo di Fossa, la tragica notte del 6 aprile 2009, dove morirono 24 persone.

Sui media si è spesso ironizzato sulla corresponsabilità attribuita alle vittime per non essere uscite dalle proprie abitazioni dopo le precedenti due scosse di terremoto, con paragoni spesso infelici o di cattivo gusto riferiti ad altre tragedie. La stampa in molti casi ha ricordato il processo alla cosiddetta Commissione Grandi Rischi, ignorando le conclusioni che hanno visto tutti assolti, tranne uno, “perché il fatto non sussiste”.

Proteste allAquila

In particolare, il passaggio della sentenza del Tribunale civile di L'Aquila che ha destato maggior clamore, dando luogo anche a manifestazioni di protesta da parte di cittadini del capoluogo abruzzese (Foto sopra: Rete8.it), è il seguente: “E’ infatti fondata l’eccezione di concorso di colpa delle vittime ai sensi dell’art. 1227, I° comma, c.c., costituendo obiettivamente una condotta incauta quella di trattenersi a dormire – così privandosi della possibilità di allontanarsi immediatamente dall’edificio al verificarsi della scossa - nonostante il notorio verificarsi di due scosse nella serata del 5 aprile e poco dopo la mezzanotte del 6 aprile, concorso che, tenuto conto dell’affidamento che i soggetti poi defunti potevano riporre nella capacità dell’edificio di resistere al sisma per essere lo stesso in cemento armato e rimasto in piedi nel corso dello sciame sismico da mesi in atto, può stimarsi nella misura del 30 per cento (dell’art. 1227, I comma, c.c.), con conseguente proporzionale riduzione del credito risarcitorio degli odierni attori. Ne deriva che la responsabilità ascrivibile a ciascun Ministero è del 15 per cento ciascuno e per il residuo 40% in capo agli Eredi del costruttore Del Beato”.

Dalla pagina dell’Avvenire del 12 ottobre 2022, è stato invece è possibile capire quali siano stati gli altri soggetti corresponsabili e per quali motivi: “Dopo la tragedia gli eredi delle vittime avendo dalla loro parte perizie che attestavano irregolarità in fase di realizzazione dell'immobile e una 'grave negligenza del Genio civile nello svolgimento del proprio compito di vigilanza sull'osservanza delle norme poste dalla legge vigente, in tutte le fasi in cui detta vigilanza era prevista', hanno citato in giudizio (per milioni di euro di danni) ministero dell'Interno e ministero delle Infrastrutture e Trasporti per le responsabilità della Prefettura e del Genio Civile per i mancati controlli durante la costruzione, il Comune dell'Aquila per responsabilità analoghe e gli eredi del costruttore per le responsabilità in fase di costruzione. I ministeri hanno chiamato in causa il condominio imputandogli una responsabilità oggettiva, cioè senza colpa, ma derivante solo dal fatto di essere proprietario della costruzione. In particolare il tribunale, ha riconosciuto una corresponsabilità dei ragazzi morti pari al 30% perché ha ritenuto siano stati imprudenti a non uscire dopo la seconda scossa, ha condannato i Ministeri e le eredi del costruttore, mentre ha respinto le domande nei confronti del Comune e nei confronti del condominio".

Di conseguenza, ai sensi del comma 1 dell’art. 1227 del Codice Civile (“Se il fatto colposo del creditore ha concorso a cagionare il danno, il risarcimento è diminuito secondo la gravità della colpa e l’entità delle conseguenze che ne sono derivate”) è anche colpa delle vittime, sepolte dalle macerie, per non essere uscite di casa dopo due scosse di terremoto non molto forti, appartenenti ad una sequenza sismica che durava da mesi.

Tralasciando un aspetto, relativo ai comportamenti da tenere in caso di scossa di terremoto, non corretto e soprattutto molto pericoloso, citato nel passaggio di tale sentenza, “così privandosi della possibilità di allontanarsi immediatamente dall’edificio al verificarsi della scossa”, che lascia intendere la fuga quando ancora la scossa di terremoto è in atto, si può notare che le motivazioni della decisione del Tribunale richiamano quelle delle sentenze di Appello e di Cassazione di condanna del prof. Bernardo De Bernardinis, in relazione al processo alla cosiddetta Commissione Grandi Rischi, per la morte di 13 persone, fra quelle che avevano presentato ricorso. Come noto, la condanna al Prof. Bernardo De Bernardinis è scaturita da una intervista rilasciata ad una TV locale, prima della riunione della commissione.

Se si rileggono le motivazioni di tali sentenze, si trova che in effetti le “tradizionali precauzioni” adottate dalla popolazione, consistenti nell’uscire dalle proprie abitazioni ad ogni scossa percepita, rappresentino una condizione essenziale per potersi mettere in salvo da un terremoto.

Ad esempio, a pag. 12 della Sentenza di Cassazione si legge “…Tali comunicazioni pubbliche, ritenute dal giudice d’appello certamente rimproverabili per negligenza e imprudenza, avevano prevedibilmente indotto la cittadinanza a tralasciare le tradizionali precauzioni finora costantemente osservate …”.

Pertanto, se non si esegue tale azione, da una parte potresti essere ritenuto corresponsabile della tua morte e, dall’altra, di omicidio colposo se induci, indirettamente attraverso la tua autorità, altre persone a non adottare tali “tradizionali precauzioni”.

Se si vanno a leggere le motivazioni che hanno attribuito la condanna a De Bernardinis nella sentenza della Corte di Appello, si trovano analoghe definizioni per giustificare il corretto comportamento da tenere dopo un evento sismico e cioè, a pagina 292, “abitudini di cautela”; a pagina 302, “consolidate abitudini di cautela”; a pag. 307, “cautele familiari”.

In tale sentenza, per giustificare le abitudini cautelari si prende in considerazione il comportamento delle vittime in riferimento all’evento sismico di magnitudo 4.1 avvenuto nel pomeriggio del 30 marzo 2009 alle ore 15:38.

Ad esempio, a pag. 287, si può leggere che le vittime decisero di passare la notte in macchina, secondo la consolidata abitudine familiare, a seguito della scossa di terremoto delle ore 15:38 (Mw 4.1) del 30 marzo, nonostante le non ottimali condizioni di salute dei due coniugi ormai anziani.

Quindi, a prescindere dalle rassicurazioni ricevute tramite l’intervista al prof. De Bernardinis, si sono paragonati i comportamenti che si possono tenere nel pieno di una notte fredda a seguito di due scosse e in condizioni non ottimali di salute, con quelli tenuti in pieno giorno quando ci si può organizzare per come passare la notte. In altre circostanze e per altre vittime, la sentenza riporta che queste, sempre a seguito della scossa del 30 marzo delle ore 15:38 presa a riferimento, si erano trattenute all’aria aperta per diverse ore. Di notte e al freddo diventa meno immaginabile trattenersi all’aria aperta per diverse ore e come si può leggere a pag. 307 “… deve ritenersi con alto grado di probabilità logica che se i membri della famiglia non avessero abbandonato le loro cautele familiariomissis….non sarebbero stati colti all’interno della stessa scossa distruttiva delle ore 03:32” in quanto sempre a pag. 307 “…erano soliti fuoriuscire dalla propria abitazione ad ogni scossa percepita come pericolosa trattenendosi a lungo in luoghi aperti”.

In tale sentenza, il riferimento da prendere in considerazione, per poter adottare un comportamento di sicurezza, legato a non ben definite “abitudini cautelari” a volte anche “familiari”, è la permanenza fuori dall’abitazione per più di due o tre ore (come dedotto dalle testimonianze dei parenti di alcune vittime - pag. 306 della sentenza) in base al comportamento tenuto dalle vittime con la scossa del 30 marzo delle ore 15:38, al fine di stabilire con “alto grado di probabilità logica”, che prima di tale intervallo di tempo le vittime non sarebbero rientrate nelle loro abitazioni, giorno o notte che fosse, caldo o freddo che facesse.

Il tempo intercorso tra la scossa delle ore 00:39 (Mw 3.5) e quella fatale delle 3:32 (Mw 6.3) è di 2 ore e 53 minuti.

Nel ricorso in Cassazione, come si può leggere a pagina 14 della sentenza, i legali del prof. Bernardo De Bernardinis, per tale aspetto, fecero presente l’“inesistenza di una regola che consenta di individuare con sufficiente certezza la durata dell’allontanamento dalla propria abitazione, in occasione di scosse sismiche, al fine di scongiurare un rientro prematuro”.

Il ricorso, come noto, è stato rigettato e la condanna a due anni è stata confermata.

Quindi, per i magistrati che hanno emesso tali sentenze le “tradizionali precauzioni”, che consistono nell’uscire di casa ad ogni scossa di terremoto, costituiscono una procedura di sicurezza fondamentale da rispettare; sia di giorno che di notte, che faccia freddo o meno (quella notte a L’Aquila faceva freddo), sia se si è giovani o anziani, sia se si è stanchi o riposati e, soprattutto, a prescindere dalla durata di permanenza fuori dall’edificio.

Ricordiamo che, la notte tra il 5 e il 6 aprile 2009, le scosse prese a riferimento per determinare il comportamento da seguire, cioè uscire fuori dalla propria abitazione, sono avvenute alle ore 22.48 (magnitudo 3.9) e alle ore 00.39 (magnitudo 3.5). In sostanza, quando il sonno gioca un ruolo determinante e può prendere il sopravvento, quando fuori fa freddo e dormire in auto o all’addiaccio, per permanervi per più di tre ore o tutta la notte, impone una buona forza di volontà che può essere dettata o da una estrema paura del terremoto (che sicuramente le vittime avevano prima di sentirsi tranquillizzate) ma scollegata da un aumento del rischio, o da una effettiva condizione di reale aumento del rischio (cosa che sappiano non essere avvenuta). Questo dopo una lunga sequenza dove non sempre è stato accertato se ad ogni scossa percepita e in ogni condizione (notte o giorno) le vittime uscissero dalle proprie abitazioni, o da qualsiasi altro edificio in cui si fossero trovate, che fosse il luogo di lavoro, di studio o di svago.

Come noto, peraltro, le due scosse di terremoto in questione non mutarono certo il rischio sismico per la città di L’Aquila, che all’epoca del terremoto rimase sempre alto.

Uscire dalla propria casa ad ogni evento sismico percepito, senza che sia stata disposta una evacuazione per accertamenti, potrebbe comportare una serie di altri problemi a catena facilmente immaginabili con il blocco o il rallentamento di alcune attività essenziali. Ricordo che a Teramo la scossa 07/04/2009, delle ore 11:26, di magnitudo Mw 4.9 (rintracciata dal sito INGV,ndr), il cui epicentro distava 45 Km, generò una sorta di panico globale per cui quasi tutti i cittadini si riversarono per strada. Uscirono fuori dagli uffici pubblici e addirittura anche infermieri e medici dall’ospedale, come mi fu riferito, a seguito di un ricovero che ebbi qualche mese dopo, dal personale medico e infermieristico.

Le sentenze non spiegano quale sia la regola generale da seguire e quale sia l’arco di tempo da considerare dall’ultima scossa avvertita per uscire di casa (quella delle 22:40 con 5 ore e 9 minuti o quella delle 00:39 con 3 ore e 7 minuti dall’evento distruttivo?) e, soprattutto, quale sia il tempo minimo di permanenza fuori dalla propria abitazione, al fine di adottare un comportamento cautelare e su quali basi metodologiche e ripetibili sia stato stabilito l’alto grado di probabilità (quanto alto?), logica che porta a stabilire quale sarebbe stato il comportamento delle vittime e quindi la condanna dell’imputato.

Di conseguenza, analizzando solo tale aspetto delle tre sentenze (Appello, Cassazione per De Bernardinis, sentenza del Tribunale Civile riferita al crollo del palazzo di via Campo di Fossa), il ragionamento fatto dai magistrati nel considerare solo due scosse di terremoto prima dell’evento fatale, a mio parere, ha una unica ragione logica e cioè che queste siano state considerate premonitrici di un evento catastrofico, come poi è avvenuto, e che le “tradizionali precauzioni” o le “consolidate abitudini di cautela familiari” adottate includessero tale conoscenza. Per quanto riguarda le 13 vittime del processo alla Commissione Grandi Rischi, tale consapevolezza (scosse premonitrici e percepite come pericolose) cambiò per la rassicurazione operata da De Bernardinis, mentre è confermata per le 24 vittime del palazzo di via Campo di Fossa che non sono venute a conoscenza della intervista televisiva del prof. De Bernardinis e che non hanno rispettato le tradizionali precauzioni.

Ma questo non è stato confermato dagli studi scientifici eseguiti a posteriori, perché solo a posteriori può essere valutata la probabilità di accadimento del mainschock, che tra l’altro hanno dato delle probabilità molto basse di accadimento.

Infatti, come si può leggere anche sulla pagina internet istituzionale dell’INGV: “Allo stato attuale non esistono leggi note capaci di fornire indicazioni sull’evoluzione delle sequenze sismiche. Ogni sequenza ha delle caratteristiche proprie che possono essere studiate solo dopo che la sequenza sia senza ombra di dubbio terminata. In particolare, non c’è nessuna legge o indicazione che possa dirci se il culmine massimo della sequenza sia stato raggiunto oppure no”.

Altrimenti, ci viene da aggiungere che i terremoti sarebbero prevedibili.

Alessandro Venieri
Geologo

(Aggiornamenti: ore 16:40 del 22.10.2022 e ore 9:23 del 25.10.2022 )

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