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Martedì, 19 Mar 2024

Al giornalista Antonio Padellaro non difetta l’intelligenza, perciò dovrebbe capire al volo che l’insistenza sull'intitolazione di una piazza ad Almirante-Berlinguer non è stato un colpo di genio ma di sole. Martedì scorso, sul “Fatto Quotidiano”, per tenere viva la balordaggine, pubblica tre lettere: una, di chi condivide la sua proposta, le altre due di chi vi si oppone.

Chi si oppone ricorda la storia passata e più recente di Almirante: “un fascista mai pentito, che fu collaboratore di Mezzasoma nel sottoscrivere decreti che prevedevano la fucilazione di partigiani, uno che firmò gli infami decreti razziali, che fu responsabile della vergognosa rivista La difesa della razza” e, negli anni’ 70, “Mentre nessun esponente del Pci venne associato neanche lontanamente ai crimini degli anni di piombo, alcuni esponenti di primo piano del Msi non furono estranei alla strategia della tensione. Il senatore del Msi M. Tedeschi risulta coinvolto come depistatore medìatico della strage di Bologna. Lo stesso Almirante venne incriminato per favoreggiamento aggravato verso i terroristi della strage di Peteano in cui morirono tre carabinieri… il leader del Msi si avvalse dell'immunità parlamentare e poi dell'amnistia”. Insomma, fuggì coraggiosamente alla giustizia.

Il consenziente di Padellaro, invece, espone così le sue ragioni: “L'ho apprezzato (l’articolo ‘Almirante e Berlinguer’) perché in esso ho visto rispecchiata la mia convinzione circa la necessità di ‘rifondare’ su basi serie e senza pregiudizi la discussione politica tra avversari per il bene del Paese. La Resistenza all'ex amico tedesco iniziò nel settembre 1943 e terminò nel 1945. Da allora, però, non è ancora finita la guerra civile, tra democratici e fascisti, iniziata pure nel settembre 1943. Secondo me, il problema che ‘blocca’ una corretta dialettica politica, in Italia, è proprio questo. Non avremo mai un Paese unito in ambito sociale, politico, economico, culturale, finanziario, se prima non firmeremo una pace condivisa”. Padellaro le definisce “giuste osservazioni”.

E che cosa ci sarebbe di giusto? La sottile notazione sulla “La Resistenza all'ex amico tedesco”? Tipica di chi, come i fascisti di allora e di oggi, riduce la guerra di Liberazione nazionale a “italiani voltagabbana”? Mentre gli altri, i fascisti, i cosiddetti “ragazzi di Salò”, mantenevano l’onore collaborando alacremente e ferocemente con i nazisti che invasero l’Italia, derubarono i nostri beni, compirono stragi inumane di civili e patrioti, deportarono i soldati italiani nei lager e gli italiani di religione ebraica nei campi di sterminio tedeschi? Sarebbe questa verità storica che “ ‘blocca’ una corretta dialettica politica”?

E quale “pace condivisa” dovrebbe essere firmata con costoro? Quella con gli eredi entusiasti di chi fu al servizio non dell’onore ma del disonore collaborazionista e traditore della patria italiana? E quali sarebbero i “pregiudizi” da eliminare per “rifondare” la discussione politica nazionale? Magari mettendo al loro posto quelli alti e nobili della canzone napoletana: “chi ha avuto, ha avuto, chi ha dato, ha dato, scurdàmmoce ‘o passato”? Non scherziamo.

I fascisti di ieri e gli epigoni di oggi, si sa, vorrebbero almeno un’equiparazione con i partigiani volontari della libertà, un riconoscimento delle loro buone intenzioni (ma quali?), per questo si danno e si son dati da fare, fin dal primo dopoguerra, per cancellare il 25 aprile.

L’ultima trovata di La Russa è stata di sostituire “Bella ciao” con la “Canzone del Piave” e altre scemenze simili. I nostalgici del “quando c’era lui” si attaccano a tutto, pure alle balordaggini di Padellaro oggi come a quelle di Luciano Violante ieri.

Quanto alla pace “non condivisa”, c’è già stata. Non è stata condivisa dai fascisti, ma non si può avere tutto dalla vita. C’è stata con la Repubblica, la Costituzione e la democrazia, frutti di una lotta asperrima e feroce contro i nazisti e i fascisti repubblichini. E, se si vuole, anche, più specificamente, c’è stata con l’amnistia del ’46, interpretata in modo fin troppo generoso nei confronti dei repubblichini di Salò che commisero crimini.

E’ quella pace che i fascisti, comunque mascherati, non hanno mai accettato perché non pentiti di quel che fecero all’Italia e agli italiani. Tanto è vero che hanno continuato, anche con Almirante, a cospirare contro la democrazia repubblicana, mentre usufruivano largamente di quelle libertà che essa gli concedeva e che se fosse stato per loro sarebbero morte e sepolte.

Padellaro, però, pensa che tutto questo sia secondario e ininfluente rispetto a quel che urge oggi.

Infatti, non solo titola nel suo pezzo: “Almirante-Berlinguer. Due nemici riappacificati per una lotta comune”. Un vero e proprio falso storico. Ma come, pochi incontri solitari, senza testimoni delle parole dette, tenuti segretissimi - tanto è vero che l’unico ancora in vita che ne ha parlato, è il capo ufficio stampa di Almirante - per scambiare informazioni sul terrorismo (Almirante in quel 1978-79 era preoccupato che a menare la danza fra i terroristi e stragisti di destra fossero forze più grandi di lui) sarebbero una “riappacificazione” storica?

Forse che i due resero pubblici gli incontri? Diramarono comunicati o dichiarazioni comuni facendone un fatto politico? No. E non solo perché non sarebbero stati capiti dai loro elettori e militanti. Berlinguer non ci pensò proprio. Oggi, poi, sarebbe il primo a inorridire per l’accostamento con Almirante in una lapide.

Caro Padellaro, altro che riappacificazione con gli eversori di ieri e i pronipoti di oggi per niente pentiti e vogliosi di riproporre non solo i vecchi simboli ma anche le vecchie idee nazionaliste, xenofobe e razziste. Solo il parlare di riappacificazione serve ai fascisti che, non a caso, ne sono più che contenti. E, creda, il superamento oggi del concetto di “nemico” con quello di “avversario”, la battaglia contro l’odio che da soli spargono a piene mani i leader di destra, Meloni e Salvini, non c’entrano nulla.

Qui c’è in ballo la verità storica che i fascisti vorrebbero, come al solito, ribaltare per ridarsi una legittimità nel presente, senza alcuna autocritica per quel che hanno fatto all’Italia e agli italiani.

Glielo scrivono e lei nemmeno se ne accorge.

Aldo Pirone
Coautore del libro Roma '43-44. L'alba della Resistenza
facebook.com/aldo.pirone.7

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