di Roberto Tomei
Si sa che il trasferimento d’ufficio è atto assai raro, in quanto straordinario, all’interno della pubblica amministrazione. Viene adottato in casi eccezionali e, comunque, deve essere ampiamente motivato. In via ordinaria, per esigenze organizzative, si ricorre alle più democratiche call, su base volontaria ovvero col consenso del lavoratore.
Eppure presso l’ultraottuagenario Istat, nelle ultime settimane si sono registrati ben quattro trasferimenti d’ufficio, con motivazioni tutt’altro che stringenti.
Davvero singolare, poi, appare quello disposto dal presidente Giovannini, con una deliberazione del 12 luglio.
Leggesi nelle premesse del provvedimento che “il Direttore centrale per le tecnologie dell’informazione e della comunicazione (facente parte del Dipartimento per l’integrazione, la qualità e lo sviluppo delle reti di produzione e di ricerca, ndr) ha chiesto di disporre, per motivi organizzativi”, il trasferimento d’ufficio di un suo dipendente al Dipartimento per le statistiche sociali e ambientali e di un altro dipendente da tale ultimo Dipartimento al primo.
Si sono chiesti in tanti: può un direttore centrale chiedere di disporre il trasferimento d’ufficio di un lavoratore che appartiene addirittura a un altro Dipartimento? La vicenda è stata segnalata tempestivamente dall’Usi al direttore del Dipartimento per l’integrazione che, all’oscuro di tutto, dopo asseriti accertamenti, non ha battuto ciglio.
Tutto regolare dunque? Non sembra.