Il 30 settembre scorso è stato diramato dal “nuovo” Istat targato Alleva un importante ordine di servizio, il 101 del 2014, a firma del direttore centrale del personale, avente ad oggetto la regolarizzazione delle assenze e dell’orario di lavoro, il cui scopo dichiarato sarebbe quello di rendere più efficiente la “gestione delle attività dell’ufficio Procedimenti disciplinari e norme di lavoro”.
L’ods parte dall’assunto incontrovertibile che la predetta regolarizzazione costituisca un obbligo cui è tenuto ciascun dipendente, sicché la relativa richiesta deve pervenire all’ufficio competente in via preventiva, ovvero, se ciò non è possibile, come spesso non lo è, al rientro in servizio e comunque non oltre il quindicesimo giorno del mese successivo all’assenza stessa.
Fin qui, nulla quaestio.
Poi, improvvisamente, la novità che non ti aspetti: a partire dal mese di ottobre, l’amministrazione non solleciterà più al personale la regolarizzazione di “eventuali assenze e/o eventi relativi all’orario di lavoro, che resteranno perciò non giustificati”, esito, questo, opportunamente sottolineato dal direttore del personale, che più che un ordine di servizio ha partorito un vero e proprio diktat, che segna la fine di qualsiasi sano dialogo dell’amministrazione con i suoi dipendenti.
La omessa giustificazione, pertanto, autorizzerà l’ente ad avviare un procedimento disciplinare nei confronti del dipendente inadempiente.
Ora, al di là della tradizione, che tale dialogo all’Istat è stato sempre operativo e proficuo, restano tuttora imperscrutabili i motivi della svolta. Non riusciamo, infatti, a identificarli né sul piano del metodo né, tanto meno, su quello del merito.
Per quel che ne sappiamo, nemmeno il competente ufficio dell’ente – l’unico che potrebbe trarre vantaggio dalla nuova situazione, dato che il suo carico di lavoro ne uscirebbe ridimensionato – si è speso per l’adozione di questa scelta.